Ci voleva un fantasy per rivelare i segreti del “soft power”

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Ci voleva un fantasy per rivelare i segreti del “soft power”

25 Settembre 2011

Quando, nel 1996, George R.R. Martin iniziò a scrivere la sua saga fantasy, “Cronache del ghiaccio e del fuoco”, partì da un piccolo regno e dall’uomo che tentava di governarlo dopo averne usurpato il trono. A quindici anni dalla pubblicazione di quel primo libro, “Games of Thrones”, la serie creata da Martin è il soggetto di un serial tv della HBO candidato all’Emmy, mentre il quinto libro della saga, appena uscito, è già nella classifica “best-selling” del New York Times. Intanto la storia si è sviluppata alquanto, evolvendo da una cupa favola che ci parla di un piccolo regno popolato da sovrani malvagi a una mega-saga geopolitica dai meccanismi complessi e mutevoli; una saga che contiene diverse lezioni sorprendentemente acute, per quei lettori che abbiano un particolare interesse nella politica internazionale.

Lasciando da parte draghi e lupi magici, il regno di Westeros creato da Martin è un luogo familiare, dove le dinamiche che regolano i rapporti tra stati diversi sono più o meno uguali a quelle del mondo reale, al di là di alcune differenze in ultima analisi trascurabili. A Westeros capita che le decisioni ricadano su un re feudale, da noi sul presidente degli Stati Uniti; qui il debito nazionale è verso il governo cinese, là verso una banca straniera dai poteri magici che non disdegna la collaborazione di assassini professionisti; qui si deve trattare con un cartello del petrolio, là con i trafficanti di schiavi, e in entrambi i casi si tratta di partner sgradevoli… ; qui i nemici possono essere mossi da un’interpretazione fondamentalista dell’Islam, a Westeros da una papessa che vede il futuro come un grande fuoco purificatore.

“Cronache del ghiaccio e del fuoco” si basa su una filosofia complessa e sofisticata che mette in dubbio l’efficacia di un impianto statale ispirato a moralità e correttezza, quando poi nel mondo volano draghi e camminano zombie – e dove, peggio ancora, ci sono donne e uomini malvagi. Nel conflitto tra un campionario di nemici che varia da un ideologo alla Bush a un pragmatista alla Gheddafi, è difficile intuire quale profilo, alla fine, l’avrà vinta: il gioco dei troni è ancora lungo (e Martin ha in cantiere altri due libri della saga). Però il punto cruciale, per lo meno per quanto riguarda questi primi cinque libri, potrebbe essere quello del “potere soft”. Se si vuole mantenere saldo il proprio trono, non si lasci che cose apparentemente secondarie come commercio, diplomazia e immaginazione se ne vadano per la loro strada. Di seguito, ecco a voi uno sguardo sulla brutale, ma pragmatica politica estera del rissoso mondo di Martin. (Avvertenza: in quanto segue saranno svelate parti della trama dei primi cinque libri della saga “Una canzone di fuoco e di ghiaccio”).

Il problema di definire ciò che conferisce sovranità a uno Stato è un punto centrale della saga, dove si raccontano gli affanni di re e ministri alla ricerca di un riconoscimento ufficiale. Quando, nel primo libro, Robert Baratheon, re di Westeros, viene ucciso, la federazione di sette stati di cui Westeros fa parte si disgrega all’istante. Il suo presunto erede, Joffrey, gli succede sul Trono di Ferro, guidato nella sua ascesa dalla vedova Cersei Lannister – un personaggio degno del Macbeth – sebbene la legittimità della sua incoronazione venga messa in dubbio da più parti. Entrambi i fratelli del defunto re, l’adorabile ma poco pratico Renly e il fragile e fanatico Stannis, sanciscono la scissione dei loro principati e da lì reclamano il trono di Westeros. I feudatari del Nord giurano fedeltà al figlio del primo ministro di Robert, pure lui defunto, Robb Stark, che vuole dichiarare l’indipendenza da Joffrey; intanto i Greyjoys, una sorta di vichinghi assai brutali regnanti su una piccola catena di isole, razziano il paese con le loro scorribande.

Praticamente tutto quel che accade nel regno di Westeros è determinato dai successi o dai fallimenti dei vari pretendenti al trono nelle loro strategie per assumere il potere, che sono basicamente due:   stringere alleanze o ricorrere alla forza. All’inizio Renly riesce a crearsi un vasto seguito convincendo i signori feudali che il popolo ama lui più del fratello, ma perde così tanto tempo a corteggiare gli alleati da non riuscire a mobilitare le forze di cui dispone in tempo utile: esempio calzante di un qualunque capo di governo europeo, tanto ricco di contatti quanto lento nell’azione. Stannis invece si aliena i possibili alleati con la sua rigidità, però è un capo dinamico. La sua popolarità guadagna parecchi punti quando interviene in difesa delle comunità di frontiera, attaccate da forze esterne: un Rick Perry ancor più battagliero, che in più può giovarsi del potere di una strega. Ci sono anche i Greyjoys, che tentano di sottomettere una regione del regno con la forza, invece che firmando trattati o offrendo la difesa del regno; però non riescono a consolidare le proprie conquiste, provando così che amministrare è ben più difficile che guerreggiare.

Finora, nessuna di queste strategie ha portato a un successo decisivo, e non è ancora chiaro quale tra esse riuscirà a far tornare Westeros uno stato unitario – se mai lo diverrà. Però la saga dimostra con chiarezza la prevalenza del potere sul diritto, e quanto poco conti l’avere la ragione dalla propria parte quando le dispute si risolvono sul campo di battaglia. I Lannister (Joffrey e Cersei, e gli altri membri del clan) restano al potere combinando un diritto ereditario di facciata con uno stupefacente machiavellismo fatto di torture, creditori ignorati e persino il reclutamento di addestratori di zombie, che lavorano nei meandri del castello reale. La spietata scaltrezza dei Lannister costringerà i loro sfidanti, anche quelli che vogliono un paese più giusto, a diventare brutali, e a compromettere la loro credibilità quando parlano di giustizia.

La lotta intestina tra i cinque aspiranti re di Westeros – Joffrey, Renly, Stannis, Robb Stark e i Greyjoys – fa dimenticare le minacce che incombono al di là del confine settentrionale del regno, segnato da un enorme vallo oltre il quale termina il potere del re e inizia una terra magica e senza legge, abitata da selvaggi, giganti, mammut e dagli Estranei, esseri soprannaturali e misteriosi in grado di tramutare un uomo in uno zombie di ghiaccio. Tra tutti coloro che si combattono l’un l’altro per imporre il proprio dominio su Westeros, soltanto Stannis non si dimentica di quella frontiera critica; e arriva il giorno in cui il muro viene attraversato da una grande orda di “wildling” – così sono chiamati i selvaggi delle terre misteriose – i quali, arresisi dopo una sanguinosa battaglia, accettano, per la prima volta, di vivere secondo le leggi di Westeros. E’ come se la narcoguerra messicana si inasprisse al punto da rendere invivibile il paese e, dopo alcuni incidenti di frontiera, l’America decidesse di ospitare un vasto gruppo di messicani da qualche parte in Arizona.

Una scelta quanto mai audace per Washington, e anche a Westeros non è affatto facile prendere una tale decisione. Ma, come illustra Martin, l’attenzione ai confini di Stannis è un punto a suo favore, perché dimostra la sua capacità di difendere il regno. Sono le solide palizzate, a Westeros, che rendono sopportabili i vicini – specialmente se per vicini hai i non-morti.

Diplomazia

Martin nella sua saga disegna una complicata rete diplomatica, e una delle ricompense nel leggerla è apprendere – spesso a cose fatte – quanta parte degli avvenimenti è stata determinata da accordi segreti raggiunti attraverso canali tenuti accuratamente celati dietro le quinte. Il libro segnala alcune controindicazioni in cui può incorrere la tradizionale diplomazia segreta; alcune potrebbero essere tratte dai momenti più scabrosi dei negoziati nucleari con la Corea del Nord, altre sono di pura fantasia. Dopo la proclamazione di Robb Stark a re delle regioni del Nord da parte dei feudatari che lo sostengono, sua madre, Cat Tully, cerca di mettersi in contatto con Renly Baratheon, l’ultimo fratello di re Robert, per esplorare la possibilità di negoziare pacificamente l’indipendenza. Però questi viene ucciso da un incantesimo prima che si possa stringere qualunque accordo. Cat riesce quindi a siglare uno sfortunato trattato con il potente clan Frey, che permette a Robb di vincere un’importante battaglia e lo porta a un passo dal vincere la guerra; ma poi Robb agisce d’impeto e viola i termini del trattato. L’ennesimo esempio di un capo che distrugge il paziente lavoro dei suoi collaboratori.

Gran parte della diplomazia che si dispiega nella saga è altamente riservata, nascosta non solo alle genti di Westeros (che non possono contare né su una stampa libera né su associazioni civiche per reclamare più trasparenza) ma anche agli stessi governanti, che tacitamente permettono alle loro spie di lavorare nell’ombra. Varys, un agente di lungo corso prima per Robert e poi per il suo successore, si rivela come uno dei personaggi più potenti di tutta la saga: è lui che regge i fili della fitta trama di segreti che si estende anche oltre i confini del regno. Venendo alla cronaca recente, le sbirciate concesse da WikiLeaks nel mondo della diplomazia segreta hanno mostrato che anche nel nostro mondo esiste una robusta comunità fatta di informatori dietro le quinte e di confidenti d’ambasciata, non meno potente di quanto lo sia a Westeros; anche se non sarà granché preoccupata di salvaguardare la linea ereditaria della casata regnante, né sarà altrettanto angustiata dalla tendenza di eliminare ostaggi da parte di talune fazioni.

Banche e commercio

Le faccende del commercio internazionale occupano un posto di rilievo nella saga, soprattutto perché sono intrecciate alla morale. Dany (per esteso Daenerys Targaryen – ndt), maestra di draghi, esiliata, erede degli antichi re di Westeros, porta avanti una campagna moralizzatrice: vuole porre fine al traffico degli schiavi nel territorio da lei governato. La meritoria battaglia le guadagna un ampio seguito, che però si disperde perché la città da lei conquistata non può commerciare altro che schiavi. Conquistare una terra e tenerla è una cosa; per cambiarne la società occorre però impostare un’economia praticabile che sostituisca quella “distruttiva” preesistente, per esempio il traffico degli schiavi o le coltivazioni di papaveri da oppio in Afghanistan.

Il problema dei Lannister, invece, è il debito pubblico. Cersei Lannister impone al regime di sospendere i pagamenti alla Iron Bank di Braavos, una decisione che porta i banchieri di quella contrada a collaborare con i nemici della donna. E’ come se la Cina intervenisse nel dibattito sul debito americano, e il rischio di default comportasse non soltanto un abbassamento del rating, ma anche l’arrivo di killer dalle arti magiche.

Guerra e tecnologia

Spencer Ackerman di Wired ha ragione quando scrive che i dragoni di Dany sono “una svolta nella tecnologia militare”; non si tratta dell’unico esempio di come un vantaggio tecnologico possa essere d’aiuto a un capo di governo tanto sul fronte interno quanto in diplomazia. Gli Estranei (ossia le malvagie creature del Nord creatrici di zombie) hanno un vantaggio iniziale sul nemico: le loro spade sono talmente fredde che possono spaccare l’acciaio. Jon Snow, il figlio bastardo di un signore del Nord che assume il comando delle forze poste a protezione dei confini, neutralizza quel vantaggio quando scopre che l’ossidiana è in grado di uccidere gli Estranei, così come sono in grado di farlo le spade di forgia particolare in possesso delle famiglie più importanti del regno. Ma Dany possiede addirittura i draghi che, in un mondo di veicoli trainati da cavalli e cavalieri in armatura, sono l’equivalente della bomba atomica. Essendo l’unica a disporne, si trova nella stessa posizione degli Stati Uniti al termine della Seconda guerra mondiale: un’autentica superpotenza globale. Quando però uno dei suoi draghi viene perduto, è come se fosse andato perduto materiale fissile e la tecnologia che lo ha prodotto, con l’enorme rischio che ne consegue. Dany decide di rinchiudere i due draghi che le restano in una gabbia, per paura di perderli, e così facendo rinuncia al suo più grande deterrente. La tecnologia è un vantaggio, ma solo se gli altri credono che si ha la volontà di usarla.

Il fanatismo religioso

Sebbene la politica estera di Westeros sia guidata in primo luogo da pragmatismo commerciale e rispetto delle tradizioni dinastiche, ci sono anche capi di stato che seguono un fanatico credo religioso. Stannis Baratheon viene a trovarsi alla mercé di una papessa di nome Melisandra, secondo cui la sua rivendicazione del trono è giustificata da una profezia divina. Stannis trasforma la sua campagna per la conquista di Westeros in una sorta di conquista della repubblica islamica dell’Iran, e inizia a prendere decisioni strategiche basate sui dogmi della religione di Melisandra, sacrificando i non credenti e spingendo gli altri a convertirsi. Finisce per alienarsi diversi alleati, riluttanti a chiudersi nel suo fondamentalismo, però la fede che pervade la sua corsa al potere è tale che i suoi nemici, meno organizzati, rischiano di finire travolti.

Mercenari

Gli uomini di stato creati da Martin sono soliti assoldare assassini per eliminare i loro avversari, o firmare contratti con gli equivalenti della Xe Services o della Triple Canopy – con l’unica differenza che queste bande di cosiddette “spade a pagamento” seguono tradizioni particolari, come quella di ricoprire d’oro il teschio del proprio capo morto in battaglia. Queste forze irregolari, nel mondo di Westeros, non sono tanto un fattore che determina gli equilibri internazionali, quanto un indicatore dello stile delle persone che ne fanno uso. Il piano ideato da Robert Baratheon per uccidere Dany prima che questa diventi un pretendente al trono credibile dimostra la sua codardia, ma anche la sua chiarezza di pensiero. Dany tenta invece di crearsi una nomea di governante ispirata da alti ideali, ma per riuscire a prendere il potere assolda un gruppo di mercenari. Non tiene conto del fatto che questi non sono spinti dalle sue stesse motivazioni, e questa negligenza avrà pesanti conseguenze.

Ancora non è dato sapere chi conquisterà il Trono di Ferro, se l’idealismo o il pragmatismo. Quel che però Martin illustra chiaramente è che, in politica internazionale, trascurare un aspetto del problema è un grosso rischio, specialmente quando si tratta di mantenere un potere “soft”. Come impara Dany, puoi anche assoggettare temporaneamente una classe dirigente riottosa con alcune esecuzioni sulla pubblica piazza, ma se non puoi portarla dalla tua parte stabilmente, sostituendo all’economia che hai messo fuori legge una nuova economia che funziona, quella gente cercherà di scalzarti. Cersei Bannister può prendere a prestito tutto il denaro che vuole per costruire una poderosa marina da guerra, ma la sua rinnovata potenza militare non serve a intimidire i banchieri che reclamano i loro crediti. E infine, come apprende Stannis, se anche fosse vero che aprire i confini è l’unico modo per evitare una crisi umanitaria, quando poi non si trova il modo di integrare i nuovi arrivati nelle comunità preesistenti le differenze culturali possono far esplodere la violenza. C’è in palio, nel gioco dei troni, molto di più della vincita di un trono.

Traduzione di Enrico De Simone

(Tratto da Foreign Policy)