Clima, via al dibattito. Ma in Vaticano

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Clima, via al dibattito. Ma in Vaticano

30 Aprile 2007

Il Vaticano che s’interessa ai cambiamenti climatici è di per sé una notizia. Ma il Vaticano che lo fa cercando di ascoltare tutte le voci, politicamente corrette e no, su un tema tanto controverso, è un “notizione”. Eppure è quel che è accaduto il 26-27 aprile presso il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che ha organizzato un denso seminario di discussione per capire quale sia lo stato delle conoscenze scientifiche e acquisire gli strumenti per valutare costi e benefici delle politiche proposte.

Di certo il relatore di maggior peso era il ministro britannico per l’Ambiente, David Miliband, considerato un possibile successore di Tony Blair. Nel suo intervento, Miliband ha cercato di tirare la Santa Sede per la giacchetta, allo scopo evidente di guadagnare un profilo morale alto nella sua battaglia per l’adozione a livello globale di limiti vincolanti alle emissioni. Per quanto ben cesellato, il suo speech tradiva alcuni presupposti delle politiche kyotiste che le gerarchie ecclesiastiche non possono accettare. Come il presunto nesso – sotterraneo ma presente anche nel discorso di Miliband – tra riscaldamento globale antropogenico e aumento della popolazione, e la conseguente richiesta di politiche che, in un modo o nell’altro, siano in grado di frenare la crescita demografica. Significativamente, Miliband ha citato come fonte autorevole il rapporto “Living Planet 2006” http://assets.panda.org/downloads/living_planet_report.pdf del Wwf: quel che Miliband non ha detto è che, a pagina 21 del documento, si legge: “uno sviluppo davvero sostenibile richiede che il mondo, in media, rispetti questi due criteri [l’indice di sviluppo umano per quel che riguarda il benessere umano, e l’impronta ecologia in relazione all’impatto ambientale]… Man mano che la popolazione globale cresce, sempre meno biocapacità è disponibile per le persone. Nessuna regione, né il mondo nel suo complesso, hanno rispettato entrambi gli standard dello sviluppo sostenibile. Solo Cuba l’ha fatto”.

Il che induce due riflessioni. La prima riguarda il tenue velo di ipocrisia che occulta il senso profondo di molti ragionamenti cosiddetti ecologisti. Ora, delle due l’una: o Miliband è d’accordo con le conclusioni del Wwf, oppure non lo è. E’ chiaro che non necessariamente quando si cita un documento lo si condivide in toto: ma logica imporrebbe di chiarire i punti di disaccordo, soprattutto quando si accettano esplicitamente le analisi contenute nel documento in questione ma non si segue il ragionamento fino in fondo. E’ forse possibile sostenere che tutte le premesse poste nel sillogismo del Wwf sono corrette mentre la deduzione non lo è: ma sarebbe opportuno esplicitare questo dubbio. In caso contrario, si autorizza chi ascolta – e questa è la seconda riflessione – a credere che chi recita il disco rotto sul fatto che il “nostro sistema di sviluppo” venga messo in crisi dalla sfida ambientale, dentro di sé ritenga, pur non dicendolo apertamente, che un altro mondo è possibile ed è un mondo fatto a immagine e somiglianza di Fidel Castro.