Col rigassificatore di Rovigo si fa un passo avanti in energia e mentalità

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Col rigassificatore di Rovigo si fa un passo avanti in energia e mentalità

26 Ottobre 2009

 

Col rigassificatore di Rovigo, l’Italia è un po’ più tranquilla, sul fronte energetico. Il nuovo terminale, infatti, consentirà l’importazione di otto miliardi di metri cubi di gas all’anno, pari a circa il 10 per cento dell’attuale consumo nazionale. L’80 per cento delle nuove importazioni verranno dal Qatar, che attraverso la sua compagnia di Stato, Qatar Petroleum, è partner dell’iniziativa, assieme a ExxonMobil ed Edison. Il metano andrà proprio all’azienda elettrica italiana, che così alimenterà le sue centrali, e libererà una quantità uguale di gas sul mercato, rendendolo più liquido e competitivo. Per comprendere l’importanza dell’iniziativa, basti pensare che – se il rigassificatore fosse stato in funzione solo qualche anno fa – ci saremmo risparmiati il timore, durante le ripetute ostilità tra Russia e Ucraina, ossia nei momenti in cui la domanda era massima, di restare al secco (e dunque al buio).

Il paradosso è che il terminale avrebbe potuto entrare in funzione prima, se solo il processo amministrativo non fosse andato a rilento.

La sua avventura inizia infatti tra la metà e la fine degli anni Novanta, e fa un grande balzo in avanti nei primi anni Duemila con l’ingresso del gruppo americano e della sua controparte qatarina. Da allora, però, le cose sono andate a rilento, fino al paradosso di trovarsi coi cantieri bloccati perché il pubblico ministero chiede di effettuare la valutazione di impatto ambientale per un’opera temporanea, una sorta di base subacquea di appoggio necessaria per scavare il canale in cui passeranno i tubi con la tecnica della perforazione orizzontale. Il paradosso consiste nel fatto che la perforazione orizzontale è una tecnica molto costosa, a cui si è deciso di fare ricorso proprio per non turbare l’ecosistema della laguna.

In questo contesto, vanno riconosciuti alcuni meriti e attribuite alcune colpe. Tra i primi, va dato atto al presidente della regione Veneto, Giancarlo Galan, di aver creduto fin dall’inizio nel progetto, e di averlo supportato per quel che erano le sue possibilità e responsabilità. Un’altra parte del merito va a Claudio Scajola, ministro dello Sviluppo economico oggi così come nella seconda parte della legislatura 2001-2006, che ha colto l’importanza strategica di questa infrastruttura energetica e ha fatto in modo da accelerarne il percorso. Sul fronte opposto, da ministro dell’Ambiente nel 2006-2008, Alfonso Pecoraro Scanio ha investito anche il rigassificatore di Rovigo con la sua jihad anti-progresso, che nella pratica si è tradotta in una sorta di ostruzionismo regolatorio. Niente di illegale, per carità, ma certo un’interpretazione estensiva delle norme che ha consentito di far melina. Parimenti, diversi rappresentanti degli enti locali – a partire dalla provincia di Rovigo – e quasi tutti i partiti sul territorio si sono opposti alla realizzazione del terminale, sebbene la sua natura lo rendesse per nulla pericoloso e la sua ubicazione (15 chilometri al largo dalla costa) ben poco invasivo sotto il profilo ambientale e paesaggistico.

Il problema dei rapporti con le istituzioni e della confusione normativa (che sta a monte di esso) è stato talmente vasto che, in conferenza stampa, il ministro qatarino per l’Energia, Abdullah bin-Hamad al-Attiyah, ha detto: “E’ stato molto difficile procedere spediti, in Italia, a differenza di altri paesi. L’Italia è il paese più difficile”. Non era un’accusa: il momento delle recriminazione era passato, l’occasione era l’inaugurazione dell’impianto e dunque della festa. E’ stata una constatazione, amara per chi l’ha fatta ma ancora più per chi l’ha ascoltata (a partire da Scajola, che sedeva di fianco al collega mediorientale). Significa che il nostro paese non ha un tessuto istituzionale robusto, in grado di fornire risposte certe in tempi rapidi, positive o negative.

Fa quasi ridere, ma l’impressione che i qatarini hanno catapultato sulla nostra opinione pubblica è che il modo in cui l’Italia gestisce i processi autorizzativi non è quello di un paese civile: è più simile a un suk arabo. Con la differenza che, nel suk, il venditore vuole vendere: da noi, l’amministratore spesso non ha altro fine che fare ammuina. Lode dunque a quelli che hanno rotto il muro di gomma e si impegnano quotidianamente per migliorare le cose.

Ma una profonda riflessione sul sistema, e sul modo in cui esso implicitamente selezione gli uomini peggiori, andrebbe fatta. Anche in una circostanza piacevole come questa.