Col voto per delega il Cav. lancia un allarme ma non riesce a farsi capire

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Col voto per delega il Cav. lancia un allarme ma non riesce a farsi capire

11 Marzo 2009

Presa alla lettera, la proposta avanzata da Berlusconi, prevedere che – fermo il diritto al dissenso di ciascun deputato – i capigruppo possano votare per tutti i componenti del gruppo parlamentare, non sta in piedi. E non tanto perché, come hanno pudicamente affermato alcuni esponenti del centro destra, si tratterebbe di soluzione “estranea alla nostra tradizione parlamentare”, quanto perché si tratta di soluzione estemporanea, lontana da qualunque tradizione parlamentare. Per di più se realizzata, la (originale) proposta del Cavaliere finirebbe per consolidare un rigido sistema partitocratico con un enorme balzo all’indietro del nostro sistema che si sta faticosamente avviando verso i modelli di democrazia maggioritaria più avanzata. Era quindi prevedibile che la stravagante proposta sollevasse un coro pressoché unanime di proteste, tutte incentrate sul carattere intrinsecamente plebiscitario e autoritario del nostro Presidente del Consiglio.

Se però si prova per un attimo ad andare oltre il tenore letterale delle parole, è facile notare come, se la proposta avanzata non sia condivisibile, il problema segnalato sia reale ed urgente. Nonostante la svolta maggioritaria del 1994, nonostante l’affermarsi di una democrazia dell’alternanza, nonostante la radicale semplificazione del quadro politico realizzata con le elezioni del 2008, non siamo ancora riusciti a realizzare una compiuta democrazia governante, ovvero un sistema nel quale al riconoscimento di una piena capacità di decisione faccia riscontro un elevato grado di trasparenza ed un efficace sistema di controlli. La nostra democrazia, ancora governata da un complesso di norme costituzionali e regolamentari pensate per una fase storica diversa e per un modello di democrazia consociativa, riesce oggi a cumulare due gravi patologie. L’incapacità dell’Esecutivo di realizzare in tempi certi e prevedibili una coerente strategia di governo e la sostanziale assenza di strumenti parlamentari che assicurino trasparenza del procedimento decisionale ed efficace controllo sull’azione del governo.

Nonostante i roboanti proclami, le potenti commissioni bicamerali, i dotti convegni di studi, finora tutti i tentativi fatti per adeguare il sistema istituzionale al mutato contesto politico sono miseramente abortiti. Anche la riforma del 2006, che è stato il tentativo sicuramente più compiuto di modificare la forma di governo del sistema, è stata bocciata da un referendum nel quale si sono saldate le preoccupazioni antileghiste di una buona parte della popolazione del centro-sud ed i fantasmi democraticistici e tardo–resistenziali della pubblica opinione democraticamente corretta. Questo è il vero nodo da affrontare e le iniziative un po’ populiste (tipo il nuovo metodo di votazione con rilevazione delle impronte introdotto alla Camera) sono nella migliore delle ipotesi del tutto inutili. Nella peggiore rischiano di aggravare la situazione riducendo ulteriormente la capacità di governo del sistema senza far fare un solo passo alla trasparenza ed alla capacità di controllo del medesimo.

In questa prospettiva, è un’altra la vera critica da muovere alle fantasiose uscite in materia istituzionale del Presidente del Consiglio. Il rischio insito in dichiarazioni come quella di ieri è la creazione di enormi quanto inutili polveroni mediatici dietro i quali il nutrito esercito del conservatorismo istituzionale ha buon gioco nel nascondersi e nel rinviare sine die un vero processo di riforma. A nostro avviso, la comunicazione politica in materia di funzionamento della democrazia anziché avventurarsi in soluzioni fantasiose quanto impraticabili dovrebbe concentrarsi nell’individuazione dei nodi critici del sistema e delle relative proposte di soluzione. Proposte che devono essere realistiche e praticabili per poter avviare un confronto serrato con l’opposizione e per sperare di raggiungere un qualche risultato.

E’ noto come uno delle migliori virtù politiche di Berlusconi sia proprio la sua capacità di comunicazione. A volte si ha però l’impressione che il Nostro non si renda conto del fatto che la materia istituzionale richiede forse un approccio differente, poiché si tratta di materia noiosa, molto tecnica, che interessa poco la gran parte dell’opinione pubblica e molto una ristretta cerchia di iniziati. Una cerchia ristretta si, ma in grado di svolgere una funzione importante nell’orientare la restante opinione pubblica nel giudizio complessivo sulla correttezza e sulla stessa democraticità delle classi dirigenti.