Come dice Macron l’euro richiede profonde riforme. E se non si riescono a fare?

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Come dice Macron l’euro richiede profonde riforme. E se non si riescono a fare?

19 Maggio 2017

Come dice Macron l’euro richiede profonde riforme. E se non si riescono a fare? “The euro is incomplete and cannot last without major reforms”, così Martin Wolf sul Financial Times del 17 maggio cita la posizione di Emmanuel Macron sull’euro. Poi il celebre giornalista del quotidiano della City spiega che secondo lui gli obiettivi politico-economici necessari a “maggiori riforme che consentano all’euro di durare” come chiede il presidente francese recentemente eletto, sono difficilmente raggiungibili perché le convergenze necessarie tra Germania e Sud dell’Europa implicano decisioni che al momento non paiono realisticamente assumibili. Un parere così autorevole dovrebbe spingere tutte le persone di buon senso a riflettere anche sulle alternative. La cieca fede europeistica che ha provocato 25 anni di quasi stagnazione della nostra economia andrebbe sostituita da approcci certamente non distruttivi (tipo: uscire subito dall’euro) ma anche razionali (cioè opposti a quelli che negano la reversibilità della situazione attuale).

Quando si corrompono anche le istituzioni della umana bontà. “E’ sconfortante la scoperta delle malefatte consumate nel centro accoglienza dei migranti di Catania”, scrive Pierluigi Battista sul Corriere della Sera del 17 maggio. L’intreccio tra apparente impegno umanitario e loschi affari era già emerso con le faccende che coinvolgevano a Roma la cooperativa “29 giugno” per il recupero dei carcerati di Salvatore Buzzi e più recentemente con le preoccupazioni del pubblico ministero Carmelo Zuccaro sui presunti traffici di alcune ong nella gestione dei migranti dalla Libia all’Italia. Pur apprezzando il garantismo di chi ha denunciato le esagerazioni della cosiddetta inchiesta “Mafia Capitale” e le preoccupazione per magistrati che preferiscono dichiarare piuttosto che parlare con gli atti come dovrebbero, è difficile sottrarsi all’impressione dell’esistenza di un diffuso sistema corruttivo in un ambito civilmente assai sensibile. E’ evidente come lo strasbordamento dei poteri dei pubblici ministeri e la nuova autorità in gran parte surrettiziamente acquisita dalle toghe dopo il 1992 non abbiano risolto problemi di fondo della legalità italiana. La degenerazione in atto, però, differentemente da quella che nasceva in qualche modo organicamente dallo Stato dei partiti cresciuto con la Prima repubblica, non è figlia di un sistema, bensì della sua mancanza: senza nuove istituzioni che colleghino i cittadini all’amministrazione pubblica, le logiche che si affermeranno saranno essenzialmente neopatrimonialistiche (al fondo: arraffa quel che puoi). E dal 2011 in poi con il sostanziale commissariamento dall’alto della politica (con annessa inevitabile esplosione della “protesta senza proposta” grillina) le cose non potevano che peggiorare.

Il social fascista Trump. “When Donald Trump and Recep Tayyip Erdogan meet in Washington on tuesday, they may find they have a lot in common”, Gideon Rachman sul Financial Times del 17 maggio scrive che Trump ed Erdogan hanno molto in comune. Ecco un giudizio che ricorda la teoria che fu lanciata dal VI Congresso dell’Internazionale Comunista (luglio 1928) e dal successivo X Plenum dell’Internazionale Comunista (luglio 1929): quella del “socialfascismo”. L’esito di questa terribile teorizzazione fu catastrofico perché di fatto aprì la porta alla vittoria dei nazisti. La mossa nasceva però dal sanguinario realismo di Josif Stalin che usava, con grande profitto per sé, teorie e semplificazioni nella lotta politica all’interno del movimento comunista. Nel caso di Rachman si tratta, invece, solo del cazzeggiare di un giornalismo liberal che pare aver perso ogni senso della misura.

Napolitano missiroleggia un po’. “È un’ipocrisia paurosa perché è una questione aperta da anni e anni con sollecitazioni frequenti e molto forti da parte delle alte istituzioni”, dice Giorgio Napolitano al Corriere della Sera del 18 maggio. L’ex presidente della Repubblica si lancia in un battuta dal sapore missiroliana  (Mario Missiroli antico direttore del Corriere della Sera a cui si attribuisce una frase di tal fatta: “Per scrivere certe cose mi ci vorrebbe un giornale”). Nel caso dell’ex inquilino del Quirinale la battuta verrebbe così: “Ah! Che cosa avrei potuto fare se fossi stato presidente del Consiglio superiore della magistratura”.

Post scriptum. Pensionato e un po’ acciaccato mi appresto a dedicarmi più al mio corpo in un’isoletta greca che al mio spirito nel mio studio milanese, e dunque interromperò questa rubrichina, riprendendola, se così vorranno ancora i gentili gestori dell’Occidentale, in autunno. Eugenia Roccella e Roberto Santoro mi chiedono comunque di continuare a scrivere alcuni articoli. E’ per me un onore e un piacere, ma non prometto più di uno scritto al mese. Grazie ancora a chi mi ha ospitato sul suo sito e a chi mi ha voluto leggere.

Un caro saluto, Lodovico Festa