Come si può salvare un paese in agonia
10 Dicembre 2007
di Milton
L’ultimo Rapporto Censis racconta di un Paese immobile, di una società indifferente a fini ed obiettivi del futuro, un magma confuso di emozioni e pulsioni individuali, una “poltiglia di massa”. Un’Italia disillusa, litigiosa, agressiva, nessuna voglia o capacità di costruire un tessuto sociale positivo, con forme di aggregazione deboli e frammentate.
Tuttavia il Censis parla anche della presenza di ottime individualità, coraggiose, indipendenti, che in silenzio reggono i rivoli sotterranei dello sviluppo e della speranza sociale. Questo dinamismo, però, non riesce a trascinare il resto del sistema, che vaga confuso, ormai rassegnato al peggio, con sempre più spesso rigurgiti di aggressività profonda. Perché non avviene questa contaminazione positiva tra forze vitali e resto della società?
La risposta più sempice è l’assenza di un’identità collettiva, di valori di riferimento inderogabili, o meglio, l’assenza di chi, questa identità e questi valori, dovrebbe generare, trasmettere, custodire.
Innanzitutto non esiste più lo Stato, sbeffeggiato e ridotto ad una sommatoria di clientele nullafacenti, che si autoalimentano e si sfidano per rinpinguare le loro rendite. Assenza dello Stato e di coloro che lo rappresentano, le Istituzioni: vecchie, apatiche ed inadeguate rispetto alle richieste della modernità, al dinamismo del fare ed alla coerenza dei principi; uno Stato e le sue “ex-istituzioni a vita” che ormai da due anni, danno uno spettacolo indecoroso ed indecente in Parlamento, facendo pagare al Paese le loro schizzofrenie politche e i loro antichi rancori. Lo Stato e la sua interfaccia quotidiana con i cittadini, la Pubblica Amministrazione: ricettacolo di fannulloni e raccomandati, degenerazione antropologica delle clientele politiche, premiata regolarmente dai politici di turno, con rinnovi contrattuali, indifferenti al merito e generatori di voti. Chi ha osato dire detto questo qualche mese fa, gira oggi scortato, a conferma del marcio e del substrato criminoso, che soggiace a questa dinamiche.
E cosa fa, dov’è, chi lo Stato dovrebbe riformarlo? La politica, di cui ormai 8 cittadini su 10, non si fidano più: rotea incapace ed immutabile su se stessa. Nessun coraggio, nessuna autorevolezza, né tanto meno autorità, compromessi e non riforme, perennemente a discutere sulle forme, che siano di governo o di partito, ma senza nessuna idea sui contenuti. Distante dai cittadini e dai loro bisogni, senza una visione da proporre.
E i riferimenti civili della società? Scuola, famiglia, giustizia, identità nazionale che dovrebbero generare le elite del Paese, dove sono?
La scuola distrutta dalle idiozie del 68, è piena di insegnanti svogliati e demotivati, sbertucciati su youtube dai loro scolari. Università gestite da baroni politicizzati più interessati ai consigli di facoltà che alle ricerche e agli studi, atenei, dove comandano bidelli e sindacalisti, capaci ormai di sfornare solo fuori corso, che ovviamente pretendono subito il “posto sicuro” e chiamano le opportunità professionali, precariato. La famiglia, cellula fondamentale di coesione, attaccata da ogni parte in nome del tutto è giusto, tutto è lecito, purchè soddisfi i propri desideri. Diritti civili a geometria variabile; si fanno indistintamente battaglie civili, per impedire la pena capitale di pericolosi pluri-assassini, nello stesso momento in cui si vuole legalizzare l’assassinio di un embrione umano o di un corpo lacerato dalla malattia; nessuno tocchi Caino, ma chiunque può uccidere Abele. La giustizia devastata dall’abbraccio morboso della politca, con magistrati assocciati che volevano ribaltare “il Paese come un calzino” per stabilire la dittatura de proletariato. Giustizia buona e indipendente solo se attacca l’avversario politico, magistrati drogati di telecamere e visibilità per i quali i codici e leggi sono, e sono stati, strumenti di carriera politica e mediatica. Ed ancora una Giustizia, talmente agonizzante, che permette ad un pluriomicida, dai propri arresti domiciliari di diventare il testimonial di prodotti d’abbigliamento. Ed infine l’identità nazionale. Siamo nell’Italia dei 10, 100, 1000 Nassirya dove chi mostra al mondo come muore un Italiano, riceve una medaglia arrugginita, spesso in ritardo, e chi perde la vita incappucciato, con un estintore in mano, si trova una sala della Camera dei Deputati in suo onore. L’Italia della bandiera arcobaleno al posto del tricolre, appuntata sulla giacca della terza carica dello Stato.
E allora le elite dove sono? cosa fanno? Beh, di solito discutono del come invece che del cosa, si inventano “cose” di vario colore, gestiscono informazione e banche con i patti di sindacato, e dalle torri d’avorio delle direzioni dei giornali, dialogano con il proprio “Io”, oppure elargiscono consigli elettorali devastanti per il Paese. Sono elite lontane dalla gente, senza un visione, se non quella della loro sopravvivenza e delle loro rendite.
Bisogna ritornare dunque alla gente e ai loro bisogni. Dare risposte forti al declino economico e morale di un Paese alla deriva, e le risposte devono essere chiare, non negoziabili. Le risposte sono: libertà, responsabilità, autorità ed identità. Per il singolo individuo, più capacità di incidere, la vera ed unica libertà assieme alla possibilità di scegliere. Più responsabilità: la capacità di mettersi in gioco, di rischiare sulle proprie decisioni, ma anche la consapevolezza che il “come fare” ha la stessa importanza del “cosa fare”. Più senso dell’autorità, il vero, grande devastante, criminogeno lascito del ’68. Non bisogna aver paura di parlare di autorità, come capacità di definire un sitema di riferimento, perché non tutto è lecito e non tutto è buono. Più senso di identità, svenduto e svilito in nome del relativismo, ancora più pericoloso in Paese, che non è mai stato una nazione e con differenze sociali ed economiche ancora troppo ampie tra nord a sud. Identità come ricerca delle proprie radici, delle proprie peculiarità e delle proprie ricchezze.
A casa quindi le vecchie elite. Spazio ad una nuova classe dirigente che abbia il coraggio di mettersi in gioco e la leadership per saper costriure una nuova comunità, con valori precisi e una visione condivisa.
Nel pessimismo cosmico di questa analisi, si deve però parlare della speranza di chi ha visto in queste settimane milioni di persone mobilitarsi per ridare voce alla gente, per gridare forte che il primo valore di un popolo è la libertà. C’è una grossa opportunità, l’ultima, per invertire la rotta e nessuno si può tirare indietro. E se gli amici di un tempo non ci stanno, ce ne faremo una ragione.