Come si uccide un premier

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Come si uccide un premier

22 Settembre 2015

Tony Abbott era amato da pochi, rispettato da alcuni, e odiato da tanti. Nessun primo ministro australiano ha mai suscitato altrettanti sentimenti di pancia, altrettanta ostilità personale, altrettanta acrimonia quanto Abbott. Salito al massimo ufficio della democrazia australiana dopo una vittoria elettorale che aveva decimato il concorrente partito laburista e prometteva un lungo governo di stabilità e cambiamento, il suo e’ stato invece il term più corto della storia politica nazionale.

 

Lo spodestamento di Abbott e’ stato un complotto di partito, non l’esito di un voto. La sfida di Malcolm Turnbull al compagno di schieramento parlamentare e’ stata dettata dagli exit poll, dall’ambizione personale, e da una prematura decisione strategica di dare al popolo australiano ciò che il popolo australiano sembrava – in assenza di un’elezione, possiamo solo parlare di ombre e di sussurri – chiedere. La testa del tiranno.

 

Tony Abbott era un leader di principio. E per questo, poco popolare. Di convinzione cristiana, di orientamento liberista, di ispirazione conservatrice. L’intero sistema paese – la stampa, i nemici politici, alcuni dei necessari ma inaffidabili alleati catapultati in parlamento a capo di partitini inutili e destinati a essere l’incontrollabile ago della bilancia per le politiche governative nell’agenda del primo ministro, e un’opinione pubblica pericolosamente rimossa dalla realtà economica e politica contemporanee – aveva sin dal primo giorno di questo governo montato una campagna di avversione personale che non ha risparmiato nessuna sfera della persona Abbott: la famiglia, il cibo, l’immagine, ogni aspetto della vita privata del premier e’ stato trasformato in caricatura, deformato, e dato in pasto a un pubblico convinto di avere a che fare non con una cattiva politica, ma con una persona cattiva. Uno dei principali vignettisti politici ha commentato la deposizione di Abbott come la perdita del più incredibile soggetto di satira che il paese abbia mai avuto.

 

Tony Abbott e’ stato prima smontato pezzo per pezzo e poi ricostruito come Frankenstein nella coscienza del paese come un uomo spregevole colpevole di molti peccati capitali in una società per la quale la politica dei grandi problemi non esiste ed e’ piuttosto gossip da rotocalco, una partita di cricket la domenica, una disputa tra vicini per un parcheggio o per i rami di un albero.

 

Condannato a priori come sessista perché cristiano conservatore, lui che ha vissuto con moglie e tre figlie femmine, nessuna delle quali ha mai mosso un rimprovero all’uomo di casa Abbott; insensibile perché realista politico, pur avendo aperto i cancelli dell’Australia a 12,000 rifugiati siriani, un grosso numero per un paese di 20 milioni che dovrà importarli da lontano, e mantenerli a vita; e soprattutto unfair – socialmente ingiusto, il crimine più grave di cui un australiano possa macchiarsi agli occhi di una società ancorata al mito dell’equità, scolpito sin nell’inno nazionale.

 

I problemi per Abbott sono iniziati presto. Troppo presto. Potremmo dire già in campagna elettorale, quando promesse troppo numerose e troppo ferme avrebbero inevitabilmente esposto il leader al facile tiro dei cecchini, non appena avesse modificato una politica e tradito una promessa elettorale. E puntualmente e’ avvenuto. 

 

Fu il primo budget del governo a scatenare un putiferio. Il ministro dell’economia Joe Hockey presento’ al paese un problema pressante – il deficit e il debito. L’Australia e’ da sempre una nazione economicamente scrupolosa che non conosce gli abissi del debito pubblico che inghiottono da decenni il futuro dell’Italia e di molti altri paesi occidentali. La politica economica ha sempre seguito il principio aureo del surplus, e anche gli anni in cui un debito e’ stato accumulato sono stati seguiti sempre da una decisa virata per risanare il bilancio. Un pendolo virtuoso, di solito oscillante tra i debiti dei laburisti e i risanamenti dei Liberal, il partito di Abbott. Il primo ministro liberale per antonomasia della nostra era, John Howard, il cui lungo regno politico sembrava non dovesse finir mai, aveva restituito un solido avanzo all’erario, che ha garantito un decennio di prosperità straordinaria ma che è anche stato dissipato come capitale politico e sociale dal successivo governo laburista.

 

L’Australia si e’ così trovata per la prima volta con una forte pressione del debito – nulla in confronto alle cifree europee, ma bisogna anche considerare che il paese non può contare su un’Unione europea, ha risorse industriali limitate, una popolazione modesta, insomma non ha gli orizzonti e l’economia di scala che supportano gli squilibri delle potenze del G8. Dopo esser stato l’enfant prodige dell’economia mondiale durante la crisi finanziaria globale – l’unico paese occidentale sfuggito alle sue conseguenze umane, sociali ed economiche – l’Australia si è risvegliata in pessime acque. L’incredibile boom minerario dell’ultimo decennio ha raggiunto l’apice per poi iniziare il declino. La Cina, ormai cementata come caposaldo della nuova fortuna australiana, ha iniziato a scricchiolare e rallentare. Il prodotto interno lordo ha smesso di crescere, ridotto a un sospiro moribondo. E se non fosse per il drammatico declino del dollaro – l’anno scorso aveva sfondato oltre la parità con la moneta americana e oggi si aggira intorno ai 70 centesimi per un dollaro USA – che ha sostenuto export e turismo, l’Australia sarebbe già ufficialmente in recessione.

 

A questi seri problemi congiunturali e fiscali si aggiunge il peso di un welfare generoso, con misure come il reddito di cittadinanza, che in Italia si discute come di una chimera ma qui e’ quasi parte dell’etos nazionale, e’ un’istitizione come la pensione e il servizio sanitario gratuito. La dole – il sussidio di disoccupazione – e’ una politica così universale e un diritto così scolpito nel DNA del paese che esiste tutta un’antropologia tipicamente locale su chi vive da disoccupato, anche per una vita intera. E’ anche uno dei capisaldi della fairness, dell’equità – perché dall’altro lato, la ricchezza personale in Australia conosce picchi eccezionali e gli australiani milionari ormai nelle grandi città come Sydney e Melbourne sono quasi tutti coloro che possiedono anche soltanto una casa.

 

In questa prospettiva, il primo budget di Tony Abbott ha fatto i conti. E ha inteso aggredire la questione del debito subito e in modo radicale. E così i tagli alla "Rai" australiana, esclusi in campagna elettorale, sono invece riapparsi nel budget. I tagli alla sanità altrettanto. La riforma del welfare ha colpito fasce della popolazione considerate vulnerabili e ha offeso e oltraggiato il sentimento caritatevole dell’australiano medio.

 

I nemici di Abbott sono scesi in guerra, l’ingovernabile senato ha fatto di tutto per bloccare le misure finanziarie per mesi, la stampa si è gettata in una campagna di discredito furiosa. E in brevissimo tempo l’immagine di un leader forte e trionfante dopo le elezioni si è tramutata nella perenne caricatura di Abbott che i vignettisti adesso rimpiangono. Eppure, conti alla mano, la gestione economica seppur breve del governo ha registrato un aumento dell’occupazione e ha concluso importanti accordi di libero scambio con Cina, Giappone e Corea che l’Australia inseguiva da anni. (Fine della prima puntata. Contuinua…)