Con Berlusconi Usa e Europa sono più vicini

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Con Berlusconi Usa e Europa sono più vicini

14 Maggio 2008

Molti commentatori internazionali non hanno colto a pieno quanto sia promettente e importante la rielezione di Silvio Berlusconi alla Presidenza del Consiglio per l’Italia, gli Stati Uniti e più in generale per le relazioni transatlantiche. L’amministrazione Bush terminerà il suo mandato tra nove mesi, ma significativi progressi sono ugualmente possibili e auspicabili nel miglioramento dei rapporti tra Stati Uniti ed Europa.

Il presidente Bush, secondo i suoi critici, è l’unico responsabile dell’indebolimento delle relazioni transatlantiche, soprattutto a causa della sua decisione di abbattere il regime di Saddam Hussein. Essi sostengono che, stando ai sondaggi, l’opinione pubblica europea nutre sentimenti ostili verso gli Stati Uniti e gode nel vedere che i due più fermi alleati personali e politici di Bush – il Primo Ministro Tony Blair nel Regno Unito e il Primo Ministro Jose Maria Aznar in Spagna – hanno perso la guida dei loro Paesi, in larga parte a causa del dissenso per il sostegno offerto alla guerra in Iraq.

Ma guardiamo chi sono, oggi, i leader politici europei: Nicolas Sarkozy, in Francia, ha accantonato la politica accanitamente antiamericana di Jacques Chirac. In Germania Angela Merkel ha preso il posto del cancelliere Gerhard Schroeder, uomo indigesto e ostile alla guerra in Iraq. Il Primo Ministro inglese Gordon Brown ancora una volta definisce i rapporti tra Stati Uniti e Regno Unito come “rapporti speciali”. Ed ora Berlusconi ritornerà presto a Palazzo Chigi. Come cambiano i tempi!

L’appoggio dell’Europa alla realizzazione dello scudo antimissilistico in Polonia e Repubblica Ceca, conferito alla conferenza NATO di Bucarest, dimostra, seppure ancora parzialmente, il nuovo atteggiamento europeo. Tuttavia, sempre il summit di Bucarest ha rivelato la permanenza di alcuni problemi, come ad esempio la riluttanza del Vecchio Continente a consentire l’ingresso di Ucraina e Georgia nella NATO. Pressata dalla Russia a non accettare queste due repubbliche ex sovietiche, l’Europa si è piegata a Mosca. E in Afghanistan le forze NATO sono divise tra quelle impegnate ad affrontare pericolose situazioni quotidiane di guerra e quelle che, come l’Italia e la Germania, sono dispiegate in parti meno pericolose di questo paese in guerra.

I critici europei degli Stati Uniti denigrano ripetutamente il presunto unilateralismo americano, affermando che gli Stati Uniti dovrebbero modificare la loro politica estera per creare un fronte multilaterale contro minacce quali il programma iraniano di costruzione di armi nucleari. Ma da parte americana il problema non è l’unilateralismo, bensì la riluttanza europea a fare di più per contrastare le minacce esterne, sia che vengano dall’Iran che dalla Russia, potenza nuovamente risorta. Ecco perché la decisione della NATO di procedere all’installazione di un sistema antimissilistico è positiva e dimostra chiaramente il riconoscimento della minaccia iraniana da parte di una numerosa alleanza di Stati. Ed ecco perché è molto negativa la decisione sull’Ucraina e la Georgia, riflettendo la mancanza di volontà europea nel resistere alla nuova influenza russa.

Questa tensione costante nell’atteggiamento europeo sottolinea l’importanza del ritorno di Berlusconi al potere. Berlusconi e l’Italia ora possono davvero fare la differenza, ma solo se sapranno affrontare con decisione i soliti luoghi comuni sul futuro dell’Europa. In realtà, un ruolo globale più grande dell’Europa richiede un ruolo più ampio per i singoli Stati europei, non un potere più grande dell’Unione Europea. La testimonianza storica è chiara: quanto più grande è la preminenza di Bruxelles negli affari dell’Unione europea, tanto più piccolo è il ruolo complessivo dell’Europa nel mondo.

Impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari potrebbe essere una prova importante per le relazioni transatlantiche e per la leadership di Berlusconi. Per più di cinque anni la diplomazia europea a guida britannica, francese e tedesca, sostenuta dagli Stati Uniti, ha fallito nel contrastare il programma nucleare iraniano. La principale causa di fallimento è stata la riluttanza europea a imporre significative – in altri termini, rigorose – sanzioni economiche all’Iran. L’Italia, con le sue importanti relazioni commerciali con l’Iran, la Germania e molti altri si sono opposti a forti sanzioni, e di conseguenza l’Iran ha potuto procedere verso lo sviluppo di armamenti per il trasporto di testate nucleari. E all’attuale stato dei fatti i tentativi diplomatici di fermare l’Iran purtroppo sembrano giunti a un punto morto.

Berlusconi perciò dovrà prendere difficili decisioni, dato che sanzioni imposte oggi, seppure molto rigorose, giungerebbero comunque troppo in ritardo per arrestare i progressi militari iraniani. Inoltre il governo dimissionario di Romano Prodi ha lasciato a Berlusconi un’economia debole, il che complica ulteriormente le scelte del futuro Presidente del Consiglio. Ma sfortunatamente sanzioni deboli %E2