Con Frattini l’Italia si è liberata del suo peggior  caveat : Massimo D’Alema

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Con Frattini l’Italia si è liberata del suo peggior caveat : Massimo D’Alema

27 Maggio 2008

Massimo D’Alema dovrebbe leggere con attenzione i verbali dell’ultima riunione della Nato, così imparerebbe – se solo sapesse imparare invece che pontificare – cosa significa difendere il prestigio internazionale dell’Italia. Prestigio che lui, in persona, aveva abbassato ai livelli minimi per la semplice e incontrovertibile ragione che i suoi disegni di politica estera – sicuramente grandiosi – erano alla fine sempre calibrati sulle poderose personalità e strategie di Pecoraro Scanio e Oliviero Diliberto. 

Da un anno – e negli ultimi mesi con più forza – la Nato ci chiedeva di sollevare alcuni di quei caveat che limitano l’impiego delle nostre truppe in Afghanistan. Pecoraro e Diliberto non erano d’accordo e così l’Italia è stata sottoposta persino all’umiliazione di appelli degli ambasciatori alleati affinché ci prendessimo le nostre responsabilità. Appena insediati alla Farnesina e alla Difesa, Frattini e La Russa hanno aderito alle richieste Nato e si sono impegnati, sentito il Parlamento, ad eliminare il ridicolo caveat che ci assegnava 72 ore di tempo per rispondere alla richiesta di impiego di nostre truppe fuori dalla loro area. Ridurre a 6 ore quel caveat significa semplicemente entrare in una logica di impegno; mantenere le 72 ore significava fare i temporeggiatori, prendere in giro. Cosa che D’Alema ha fatto per due anni. 

Svolta sull’Afghanistan, dunque, come sull’Iran, con la fine degli abboccamenti “strani” perché mai spiegati con gli emissari di Teheran che Prodi e D’Alema hanno sempre avuto, anche in sede Onu. Perché Prodi e D’Alema incontravano sempre Larijani? Chi aveva dato loro mandato di trattare? Nessuno, come si sa, ma allora cosa si dicevano? Semplice, dimostravano ad Ahmadinejad e a Khamenei che l’Europa era divisa, che l’Italia non intendeva fare nulla o fare il meno possibile contro la loro politica aggressiva. Frattini, invece, ha subito sposato la linea della fermezza di Sarkozy e Merkel e ha perfettamente allineato l’Italia alla posizione del gruppo di testa dell’Unione Europea. 

D’Alema, succube del Pecoraro-Scanio-pensiero, aveva ridotto l’Italia ad un mini club di fronda con Malta, Cipro, Grecia, Slovenia e Lituania, con cui è arrivato al punto di formare documenti in cui si auspicava il dialogo con Hamas (in piena rottura dunque con l’intransigenza di Abu Mazen) e che giocava il classico gioco di piccola usura. Gioco che poteva forse avere un senso quando a condurlo era Andreotti, per il semplice fatto che c’era la guerra fredda e che l’Italia non vi faceva una buona figura, ma in fondo poteva permetterselo perché era marginale, serviva solo come portaerei per gli aeroporti Nato (e questo lo garantiva). D’Alema non ha compreso – per problemi di Dna – che la Guerra Fredda non c’è più e che quindi l’Italia ora deve assumersi in pieno le sue responsabilità di potenza regionale mediterranea. O lo fa, o non lo fa, traccheggiare come ha fatto col governo dell’Unione porta solo danni. 

Frattini, naturalmente, ha un vantaggio culturale su D’Alema, perché è cresciuto alla scuola di Bettino Craxi, che comprese questa lezione e questo scenario emergente già negli anni ottanta, quando si impegnò sugli euromissili, mentre D’Alema marciava contro (e non ha ancora fatto autocritica, pur essendo passati da un pezzo i canonici venti anni). Frattini, con Berlusconi, sa bene che l’Italia deve avere una collocazione di prima fila in Europa, a cui corrisponde il rischio di partecipare nella stessa prima fila alle operazioni militari multilaterali, accanto a Francia, Inghilterra, Germania e Spagna. Soprattutto ora che l’immobilista Chirac è uscito di scena e che Sarkozy ha abbandonato le illusioni neogolliste.

D’Alema, che non si è reso conto delle conseguenze della fine dell’asse franco-tedesco alla Chirac-Schroeder, e che non ha elaborato quindi una strategia conseguente, non si è schierato con Sarkozy-Merkel-Blair, ma neanche contro, e ha così seguito la strategia del caveat, del chi fa meno. Frattini e Berlusconi correggono ora la rotta, si siedono allo stesso tavolo politico, ma anche militare, degli alleati e prendono le loro responsabilità. Ecco, questo forse è il vero discrimine: D’Alema e Prodi, i due cunctatores, tutto facevano fuorché fare assumere all’Italia le responsabilità che le competono. Berlusconi e Frattini, diversamente da loro, non sono impastoiati di ideologie e passatismi alla muffa, sanno decidere, sanno rischiare, amano essere responsabili dei loro gesti, pronti a risponderne, invece che solo disposti a galleggiare sul potere. Vecchio tema.