Con i test antidroga in Parlamento si risolve poco e si chiacchiera molto

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Con i test antidroga in Parlamento si risolve poco e si chiacchiera molto

10 Novembre 2009

“Mi trovavo  in uno stato confusionale ”. Questa è la dichiarazione fatta dall’ex governatore del Lazio Marrazzo ai magistrati che lo hanno interrogato in merito a quanto accaduto quando i carabinieri del nucleo antidroga hanno fatto irruzione nei locali ove lui si trovava in compagnia di un transessuale.

Lo stato confusionale in questione dipendeva dall’aver assunto cocaina, sicché è sempre più verosimile che le strisce di cocaina filmate accanto a un suo documento di identità gli appartenessero, le avesse acquistate lui e fossero già servite, in parte, per dargli ebbrezza in quella serata. A questo punto appare sempre più chiaro ciò che io ho già scritto: le dimissioni da presidente della Regione erano un atto necessario, non tanto in relazione ai suoi rapporti sessuali quanto in relazione alla anormalità che derivava al suo stato psico fisico a causa della assunzione di droga e dal fatto che egli, governatore del Lazio e pertanto anche supervisore della sanità regionale era di fatto complice dei narco trafficanti, in quanto cliente degli spacciatori dello stadio finale.

Non sappiamo se Marrazzo fosse in stato confusionale quando controllava la gestione sanitaria regionale o quando la giunta regionale da lui presieduta faceva delibere importanti. Sappiamo però egli ha ammesso che assumeva droga e che ciò dava luogo a una carenza di lucidità mentale e di capacità decisionale.

Mentre Marrazzo faceva queste dichiarazioni, che tendono a ridurre la sua eventuale responsabilità per comportamenti che possano costituire reato, si è appreso che l’Italia ha il triste primato di essere uno degli stati in cui si fa maggior uso di droghe. Sembra che ne siano contaminati anche larghi settori della classe dirigente politica ed economica. Che ne sappiamo, inoltre, di quella amministrativa e di quella giudiziaria? Ora si cerca di esorcizzare questo inquietante fenomeno con i test a cui i parlamentari si sottopongono se lo vogliono. Ma è pensabile che periodicamente chiunque diriga la cosa pubblica in uno degli ambiti che ho indicato debba essere sottoposto a test per accertare se assuma droghe? I costi e le complicazioni di una tale procedura sarebbero enormi. E poi che cosa si dovrebbe fare nei confronti di chi risultasse positivo a questi test? Lo si dovrebbe interrogare per sapere da chi ha ricevuto la droga, lo si dovrebbe multare o puramente destituire dall’incarico, in analogia con la procedura che si adotta per gli atleti che risultano positivi ai test anti doping? Oppure si dovrebbero attendere ulteriori test, per accertare se le persone in questione persistono nella assunzione di droghe? 

E se coloro che risultano positivi ai test dimostrassero, documenti alla mano, che hanno sempre agito correttamente nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche, perché hanno assunto le droghe nei giorni in cui non svolgevano tali funzioni o lo hanno fatto, con quantità così modiche da non risentirne apprezzabili lesioni del loro equilibrio psico fisico e delle loro capacità intellettive? O addirittura, qualcuno mediante perizie, dimostrasse che la assunzione di droghe, effettuata al momento giusto in modo appropriato ha acuito le sue capacità intellettive e quindi lo ha aiutato a svolgere meglio i suoi compiti? Sembra evidente che non si possono risolvere i problemi in questione mediante la via dei processi, che tanto piace a qualcuno.

Ma anche se questa macchina giudiziaria di nuovo genere fosse messa in moto e si giungesse in tempi ragionevoli all’accertamento della verità e si riuscissero a prendere le misure appropriate a ciò conseguenti, rimarrebbe la questione del che fare, durante il periodo in cui i procedimenti sono in corso. E anche ammesso che tale questione fosse risolta in modo soddisfacente, assieme a tutte le altre, riguardanti il doping delle persone che rivestono importanti incarichi pubblici il problema complessivo sarebbe risolto solo a metà o anche meno, in quanto resterebbe da accertare se i banchieri, gli amministratori delegati, i grandi e medi dirigenti delle banche e delle imprese industriali, finanziarie e commerciali agiscano o meno in stato confusionale a causa della assunzione di droghe. Ma, ovviamente, non sarebbe possibile obbligarli a sottoporsi a test periodici anti droga in quanto ciò violerebbe la loro libertà individuale e quella delle imprese. Dunque non si può pensare di risolvere questo problema tramite i controlli amministrativi e le sanzioni. La questione va posta su un piano diverso, quello etico.

Occorre  che si diffondano principi etici riguardo alla responsabilità morale di chi riveste ruoli importanti nella vita pubblica e privata. Occorre  che si ponga termine all’indifferentismo etico che sta sempre più pervadendo la nostra società: ci sono comportamenti secondo natura e comportamenti contro natura. E ci sono comportamenti contro natura che possono avere, oltre a conseguenze fisiche negative per chi li tiene, anche possibili effetti dannosi per la società. Non si può ignorare questo fatto.

Mentre ciò accade, la Corte di Strasburgo emette una sentenza per cui il crocefisso va rimosso dalle aule scolastiche in quanto è il simbolo di una religione e può “offendere” che non crede in nessuna religione o chi crede in altre religioni. Quale offesa può dare l’immagine di un uomo in croce che soffre per i mali di questo mondo?

La rimozione di questi crocefissi sarebbe l’ultima vittoria di quel neutralismo etico che induce molte persone con ruoli importanti nella società a ritenere “normale” l’assunzione di droghe. Penso che il discorso vada ampliato al contesto di allegria finanziaria  che è stato scoperchiato a seguito del caso Marrazzo. Le cifre che Marrazzo ha speso per i suoi party (5mila euro o anche 1000 o due 2mila euro per volta) danno la sensazione di un tenore di vita sfrenato, che non dipende da un patrimonio costruito con la propria attività economica ma da denaro facile tratto dall’attività pubblica, al servizio del cittadino. Perciò si è cominciato ad indagare sulle sue entrate e sulle sue spese. Innanzitutto è emerso che il Presidente della regione Lazio ha un fondo di spese di rappresentanza di oltre mezzo milione di euro all’anno, cioè un miliardo di vecchie lire. Nell’ulteriore sviluppo degli accertamenti ci si è resi conto che egli sommando l’ indennità di funzione che riceveva come governatore a quelle che egli riceveva e tutt’ora riceve come consigliere regionale – e aggiungendovi il compenso che egli aveva  e ancora ha, di 3 mila euro mensili, come presidente dell’ente ospedaliero di Tor Vergata – il suo compenso pecuniario mensile superava i ventimila euro lordi, a cui si aggiungono i benefit in natura come l’uso dell’auto di servizio, le dotazioni di telefono cellulare e di connessioni Internet e quant’altro.

E bene inteso le disponibilità  sul fondo di rappresentanza. A seguito delle sue dimissioni da Presidente della Regione, i  redditi mensili di Marrazzo si sono ridotti, ma non di così tanto perché egli conservando la carica di consigliere regionale ne conserva anche la retribuzione con le indennità annesse.

Ogni consigliere regionale nel Lazio percepisce un’indennità mensile di 9.632,91 euro al lordo, oltre a una diaria forfettaria di 4003 euro netti, a cui vanno aggiunti gli eventuali rimborsi chilometrici e i 4.190 euro netti per le spese dei collaboratori e il rapporto con gli elettori. La diaria forfetaria di circa 4 mila euro compete a ogni consigliere in relazione al costo del suo vitto e alloggio durante l’esercizio delle sue funzioni. E non spetta  solo ai consiglieri che hanno la residenza effettiva in una località distante da Roma ma anche a quelli che risiedono a Roma. Il che è evidentemente assurdo. L’indennità è forfetaria, quindi eguale per chi è presente e chi è assente. Inoltre ogni consigliere, anche se non esercita particolari funzioni, riceve quasi 4.200 euro mensili netti per collaboratori. Ciò fa supporre che egli ne possa spesare almeno due, con una retribuzione netta di 2 mila euro ciascuno, che è maggiore di quella che ha un ricercatore universitario nei primi anni di carriera. D’altra parte , Marrazzo mantiene l’incarico di presidente del Policlinico di Tor Vergata e la relativa prebenda di 3 mila euro mensili, indipendentemente dal fatto di essersi dimesso da Presidente della Regione, in quanto quell’incarico e quella prebenda non sono collegati alla carica di Presidente della Regione e sono perfettamente compatibili con il ruolo di consigliere regionale.

Se i consiglieri regionali, che debbono votare i bilanci sanitari della giunta regionale e del suo Presidente, possono essere simultaneamente presidenti di istituti sanitari, finanziati su tali bilanci, che garanzia vi è che tale attività sia svolta in modo imparziale? Il Lazio ha settanta consiglieri. Dunque quel trattamento mensile di oltre dieci mila euro lordi più le spese di struttura connesse va moltiplicato per settanta. Ed è presumibile che molti consiglieri fruiscano anche di una prebenda come presidente e forse come consigliere di qualche ente regionale. Ma c’è proprio bisogno di 70 consiglieri regionali? Poi ci sono le indennità e le prebende degli assessori regionali. E i costi per le loro auto di servizio.

L’Italia va verso il federalismo con una struttura pletorica di livelli di governo e di relative assemblee e c’è un trattamento economico dei presidenti e dei consiglieri regionali che appare sproporzionato. Esso, evidentemente, deriva dal collegamento con le retribuzioni e le indennità dei parlamentari ma non si giustifica in relazione ai compiti a cui questi organismi regionali sono chiamati.

Si afferma che non si possono ridurre le imposte, in particolare non si può toccare l’Irap, perché servono per  spese pubbliche, che non si possono tagliare.Vale la pena di osservare che l’Irap , per una parte, serve per finanziare questo tipo di spese.