Con i Tremonti bonds lo stato non entra nelle banche, le aiuta dall’esterno

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Con i Tremonti bonds lo stato non entra nelle banche, le aiuta dall’esterno

Con i Tremonti bonds lo stato non entra nelle banche, le aiuta dall’esterno

23 Febbraio 2009

City Bank ha chiesto venerdì al governo degli Usa che esso prenda il 25 per cento del suo capitale azionario. Non è lo stato che vuol nazionalizzare le banche, sono queste  che si vogliono far nazionalizzare dallo stato!  La frittata è stata rovesciata nel piatto.

Venerdì la borsa aveva registrato a Wall Street e in Italia  un grande ribasso dei titoli bancari. Negli Usa in effetti si percepiva che qualche grande banca stava talmente male, da chiedere allo stato di nazionalizzarla. In Italia, molto provincialmente, si è sostenuto, con una polemica  fuori luogo, che la caduta dei titoli bancari nella nostra borsa  dipendeva dal fatto che il nostro governo meditava di nazionalizzare qualche nostra banca. Un gioco basato sui equivoci più o meno voluti.

Le grandi banche italiane vogliono essere aiutate dallo stato, ma non in questo modo, perché si sentono abbastanza robuste  (fortunatamente per noi) da non avere bisogno di chiedere di “socializzare le loro perdite” con tale intervento. L’ABI, l’associazione bancaria italiana, sabato ha dichiarato che le nostre banche non desiderano che lo stato entri nel loro capitale azionario, in quanto hanno la forza per camminare da sé. Per difenderle dai ribassi in borsa di venerdì però l’ABI avrebbero dovuto dichiararlo subito. Il ritardo si spiega con il fatto che le banche e quindi l’ABI non volevano dire subito che avrebbero potuto avvalersi dei Tremonti bonds, che erano in corso di approvazione a Bruxelles  con ritocchi da loro graditi. Hanno preferito sino all’ultimo storcere il naso, sostenendo che i bonds erano troppo onerosi. Hanno smesso di farlo sabato, sia  perché le clausole finanziarie che riguardano questi bonds sono state migliorate a loro favore e soprattutto perché  le scivolate in borsa di venerdì le hanno convinte che non era più il caso di temporeggiare.

Era meglio dichiarare che avrebbero sottoscritto i bonds per rafforzare il loro capitale. Si tratta di una misura alternativa all’azionariato pubblico. Sono infatti prestiti subordinati, sotto forma di obbligazioni del Tesoro, in offerta alle banche che possono utilizzarli per accrescere il proprio patrimonio. Lo stanziamento è di 10 miliardi di euro, che, con un leverage di 14 (che corrisponde a un capitale di 7,14) consentono un attivo di 1400 miliardi. I prestiti subordinati fanno parte del patrimonio delle banche a tutti gli effetti, pur non facendo parte del capitale sociale. Dunque i Tremonti bonds non sono un modo con cui lo stato entra nell’azionariato delle  banche ma un modo con cui contribuisce dall’esterno alla loro capitalizzazione. Ma venerdì l’annuncio dei Tremonti bonds invece che far risollevare i titoli bancari, li ha fatti scendere. Sembra che qualche operatore di borsa  leggendo il comunicato che dava via libera a questi bonds come strumento di ricapitalizzazione delle banche abbia pensato che si stava dando il via libera alla partecipazioni dello stato nell’ azionariato delle banche. Con una palese confusione fa “capitale azionario” e “capitalizzazione bancaria”, che fa riferimento non solo al capitale azionario, ma anche ai prestiti subordinati, che hanno un identico effetto per la solvibilità della banca.

E’ strano che gli operatori di borsa siano così ignoranti da prendere tali “lucciole per lanterne” ma è evidente che venerdì il governo italiano, a seguito dell’approvazione europea ai Tremonti bonds, ha dato inizio ad una operazione del tutto opposta a una nazionalizzazione bancaria.

Per altro non si capisce con quale coerenza sia stato criticato un eventuale intervento dello stato  nel capitale azionario delle nostre banche da parte degli esperti vicini al PD, che  avevano partecipato alla sottoscrizione del manifesto di 300 economisti che, nell’ottobre del  2008 hanno chiesto una partecipazione azionaria dell’Unione europea nelle banche. E soprattutto con quale coerenza “Repubblica” abbia potuto criticare le affermazioni di Berlsuconi su eventuali nazionalizzazioni di banche dato che  il 20 ottobre del 2008 Tito Boeri ,  su “Repubblica”, aveva scritto quanto segue “Qualcuno deve oggi riempire i vuoti aperti da mercati che hanno cessato di operare, prima che questi vuoti aprano voragini. Questo qualcuno non può che essere lo Stato. Bene perciò che lo Stato fornisca capitale di ultima istanza a quelle banche che lo richiedessero espressamente… Ma deve essere un intervento con precisi limiti temporali, tenuto il più lontano possibile dalla politica, dalle mani dei Governi. Interventi di questo tipo sarebbero stati meglio gestiti a livello europeo, come richiesto dall’appello lanciato da la Voce.info e sottoscritto da 300 economisti europei… Il nostro paese può comunque cercare un approccio integrato con quei paesi de1l’Unione che ci stanno. In ogni caso, la gestione di queste eventuali partecipazioni dovrà essere affidata ad organi terzi, separati dal Tesoro. Bene che si tratti di azioni senza diritto di voto ma ricordiamoci che anche con le azioni privilegiate odi risparmio si partecipa ad assemblee e che qualunque partecipazione rilevante è influente perché apre la strada al ricatto di mandare tutto all’aria uscendo dall’azionariato. Solo ponendo un ferreo limite temporale a queste partecipazioni avremo un incremento temporaneo nel debito, magari riusciremo anche a ridurlo rivendendo le azioni a prezzi più alti in un mondo uscito dalla crisi. Anche per questo è bene assicurarsi sin d’ora che ci sarà una ritirata, e far sì che sia una ritirata vera”. Dunque, quando la sosteneva “Repubblica” la partecipazione azionaria dello stato nelle banche era una buona cosa, sia pure con precisi paletti. Dopo che sembrava che Berlusconi concordasse con “Repubblica”, per quel giornale, il tutto diventava  brutta cosa. Ma Berlusconi non lo aveva affermato per l’Italia bensì per altri stati europei o per l’Unione Europea, come auspicato da “Repubblica” nell’ottobre del 2008.

E per l’Italia il nostro governo ha adottato i prestiti subordinati, non le azioni, accogliendo una tesi da me sostenuta, lo scorso anno, in polemica con i 300 economisti. Temo, però, che non basteranno i Tremonti bond a risolvere il problema del credito all’economia reale. Il fatto che non ci sia la necessità di soccorrere le nostre banche con misure estreme di partecipazione azionaria dunque  non comporta di dire “no” al credito di soggetti pubblici all’economia. Può essere opportuno utilizzare soggetti pubblici come la cassa Depositi e Prestiti per il credito al mercato, in aggiunta e in competizione con le banche dei privati.

E, in questo quadro, si può mobilitare anche la finanza degli enti previdenziali, come ha suggerito Emma Marcegaglia con riguardo alla costituzione di un fondo di garanzia del credito. Essa lo vuole fare mediante i Tfr che le imprese debbono versare all’IMPS. Ma ci sono anche altri metodi per fare intervenire l’operatore pubblico nel credito a medio termine su iniziative valide. La recessione non si combatte solo col sostegno ai consumi, tramite gli ammortizzatori sociali e gli incentivi alla domanda di beni durevoli , ma soprattutto con una politica di investimenti. Non si tratta, in Italia, di nazionalizzare le banche private, che non lo chiedono e non ne hanno bisogno. Si tratta di far intervenire lo stato in modo sussidiario alle imprese del mercato quando esso non è abbastanza competitivo, operando con strumenti conformi al mercato.