Con Jim Carroll abbiamo capito quant’è punk la Via Crucis
20 Febbraio 2011
di Luca Negri
Jim Carroll era un ragazzo cattolico, redento attraverso il dolore e non dalla gioia. Così cantava in una delle sue canzoni più famose, “Catholic boy”. Ma non era solamente un cantante rock, prima ancora era un grande poeta, uno degli scrittori statunitensi più significativi degli ultimi decenni. Rappresentò la tensione sotterranea e nervosa che animò la controcultura nordamericana del secondo dopoguerra: dalla beat generation al post-punk degli anni Novanta. Non è un caso che nel corso della sua esistenza, terminata a sessant’anni per un attacco di cuore che lo colpì l’11 settembre del 2009, entrò in contatto con i protagonisti principali del mondo dell’arte e della musica targate Usa.
Vita ed opere di Jim Carroll sono raccontante con perizia e passione in un libro dello scrittore e saggista F.T.Sandman (al secolo, Federico Traversa) pubblicato dalle edizioni Chinaski: Jim Carroll. Punk, ribelle, poeta. Carroll nasce appunto nel 1949 in una famiglia cattolica di origini irlandesi e cresce nel famigerato Lower East side di New York. Il primo talento che sboccia in lui è sportivo: neanche tredicenne è una grande promessa del basket. Ma come altri coetanei finisce per dedicarsi a passioni meno salutati come sniffare colla e poi iniettarsi eroina. Raggiunta la maturità, tenterà di spiegare quella vocazione autodistruttiva di un’intera generazione con la paranoia costante di una guerra atomica. Erano in effetti gli anni della Guerra Fredda, si cresce con la convinzione di non riuscire ad arrivare ai vent’anni perché l’olocausto nucleare piomberà prima. Ad ogni modo, procurarsi i soldi per l’eroina non è semplice per un ragazzino e le strade per farlo sono segnate: furto e prostituzione. Carroll le percorre entrambe, cala in un inferno di buchi in vena e clienti depravati che lo rimorchiano per strada. Ovvio che finisca anche in riformatorio. Nonostante questa vita selvaggia continua ad andare a scuola dalle suore ed è proprio grazie ad una religiosa che scopre la poesia e trova l’incoraggiamento a scrivere versi. Presto riconosce dei maestri nell’arte poetica nel concittadino Frank O’Hara e nel santone beatnik Allen Ginsberg. Si dedica anche ad un diario, testimonianza di quei giorni selvaggi. Quando saranno pubblicati degli estratti su rivista, arriverà la benedizione pubblica di un altro eroe beat, Jack Kerouac.
Intanto Jim ha trovato lavoro nella Factory, il quartier generale di Andy Wharol e punto di incontro dell’avanguardia newyorchese. È in quel periodo che nasce l’amicizia, durata tutta la vita, con Lou Reed, a quei tempi leader dei Velvet Underground. Ma il ragazzo prodigio del Lower east side non fa solo amicizie nel giro di Wharol. Ha già sulle spalle la fama di poeta maledetto, di reincarnazione di Arthur Rimbaud, quando stringe una relazione con Patti Smith e va vivere con lei sotto lo stesso tetto di un Robert Mapplethorpe non ancora universalmente noto come artista della macchina da presa.
Ma la vita della Grande Male sta diventando sempre più pericolosa per Jim. L’uccisione di un amico in un regolamento di conti per droga non pagata gli fa capire che è ora di darci un taglio, provare a disintossicarsi, fuggire il più lontano possibile. Così si rifugia dall’altra parte degli States, in California, più precisamente in una cittadina che si affaccia sulla baia di San Francisco. Vive in una casa di campagna, si cura con il metadone e continua a scrivere poesie.
Gli anni Settanta stanno volgendo al termine, la vecchia amica Patti Smith è ormai una cantante affermata, “la sacerdotessa del punk”. La musica popolare anglo-americana è infatti tornata alla spontaneità e al tono selvaggio del rock and roll delle origini, dopo anni di pretenziose contaminazioni con generi più “alti”: è nato il punk. Il gruppo più famoso si chiama Ramones e canta fra il demente e il tragico di ragazzini che vogliono solo sniffare colla. Jim capisce che è ora di uscire dall’esilio, di pubblicare finalmente i diari dell’adolescenza, “The Basketball Diaries” (in Italia sono usciti per Frassinelli nel 1995 con l’infelice titolo “Jim entra nel campo di basket” e sono purtroppo fuori edizione).
Ma non solo le lettere interessano ormai Carroll, decide di diventare un cantante punk rock. L’illuminazione arriva in chiesa: “Guardai la croce e tutte quelle robe e pensai che Lui era come un punk rock. Cosa c’è di più punk rock della via crucis?”.
Diventare un cantante come gli amici Patti e Lou, darsi alla spontaneità del punk gli sembra anche il modo migliore per fuggire il mondo auto referenziale dell’arte, popolato di poeti che scrivono solo per altri poeti. Nasce così la Jim Carroll Band e la voce subito si diffonde: il famoso poeta maledetto diventerà una rock star. Durante la registrazione del primo album fa capolino in studio Keith Richards dei Rolling Stones per dare qualche consiglio. “Catholic boy” esce nel 1980 e diventa subito un successo. Il pubblico corre ai concerti e getta sul palco siringhe, crocefissi e rosari.
Il gruppo va avanti per cinque anni e pubblica tre album, Jim lo scioglie perché sente di voler tornare alla scrittura. Ormai l’abuso di eroina è una storia passata, si può liberare dall’immagine maledetta che lo perseguita e lo etichetta da anni.
Eppure Irvine Welsh, lo scrittore scozzese che ha firmato il grande romanzo sull’eroina “Trainspotting”, dichiara di essersi ispirato proprio a Jim Carroll. Il suo mito, inoltre, viene rinverdito da un film tratto dai diari (ormai un classico delle letteratura Usa, pubblicato dalle prestigiose Penguin e Faber & Faber). Esce nel 1995 e il giovane Leonardo Di Caprio impersona il poeta prostituto e tossicomane. Carroll non è entusiasta del film, ma collabora alla colonna sonora. Pur preferendo realizzare dischi di poesie parlate e declamate senza accompagnamento musicale, non riesce a stare troppo lontano delle chitarre elettriche. Il nuovo fenomeno musicale è quello del grunge, una azzeccata sintesi di punk e rock duro. Carroll collabora con i Pearl Jam e scrive una poesia dedicata a Kurt Cobain, il leader dei Nirvana suicidatosi nel 1994.
Negli ultimi anni, tornato a New York, nella casa della sua infanzia, lo si vede meno mondano e più morigerato. Scrive altre raccolte di poesie e lavora ad un romanzo, “The Petting zoo”, uscito postumo alla fine del 2010. È rimasto un ragazzo cattolico e va a messa. Ammette però di sentire la mancanza della liturgia in latino con la quale è cresciuto: “Mi piaceva quando il prete dava le spalle ai fedeli. Oggi invece sembra uno di quei cuochi della tv”. Se ne è andato esattamente otto anni dopo l’attacco alle Torri Gemelle; la paranoia delle guerra atomica, che aveva tormentato la sua infanzia, era di nuovo realtà.