Con la crisi del Caucaso crolla il mito dell’Europa “potenza civile”
09 Settembre 2008
Sarkozy è tornato, per la seconda volta in meno di un mese, a fare la spola tra Mosca e Tbilisi ed è rientrato con una serie di risultati. La promessa di ritiro, entro una settimana, degli ultimi posti di controllo dell’esercito russo dalla Georgia, quello entro un mese delle truppe di Mosca dalle aree cuscinetto tra Ossezia e Georgia, il dispiegamento di una missione di polizia europea, una conferenza per discutere la situazione dell’area a livello internazionale prevista a Ginevra il 15 ottobre prossimo e l’impegno formale di Saakachvili a rispettare l’accordo di agosto.
La missione è stata un successo? Si tratta di risultati sufficienti? Si poteva ottenere di più? Il bicchiere risulta inevitabilmente mezzo vuoto o mezzo pieno a seconda del punto di vista dal quale lo si osservi. Medvedev ha accettato di sedersi attorno ad un tavolo a Ginevra il 15 ottobre prossimo, ma ha già annunciato che sullo status di Abkhazia e Ossezia sarà l’Europa a doversi adeguare. D’altra parte ottenere il dispiegamento di personale Ue, e non Ocse come Mosca avrebbe preferito, è certamente un buon colpo messo a segno da Sarkozy. Fonti interne alla diplomazia francese hanno inoltre testimoniato la fermezza del presidente francese, il quale avrebbe addirittura minacciato di abbandonare il tavolo delle trattative di fronte alle reticenze di Mosca riguardo al ritiro sulle posizioni precedenti al 7 agosto.
Ci si potrebbe lungamente dilungare su questo punto, dividendosi tra euro-entusiasti ed euro-delusi ma è pura miopia fingere di non accorgersi che, rispetto ai “chiari di luna” ai quali l’Unione europea ci ha abituati (guerre balcaniche e guerra in Iraq sono solo due dei fallimentari exploit del recente passato), le iniziative del 12 e 13 agosto e del 1, 5-6 e 8 settembre segnano una discontinuità positiva rispetto al passato fatto di inerzie e rotture. Proprio a tal proposito può essere utile tracciare un primo bilancio della crisi russo-georgiana di questa fine estate 2008, osservandola dal punto di vista delle ricadute di politica comunitaria.
Innanzitutto la crisi del Caucaso ha direttamente riportato l’attenzione sulla necessità che si arrivi al più presto alla ratifica e all’applicazione del Trattato di Lisbona. Si è più volte sottolineato di come le cose sarebbero state più difficili se al posto di Sarkozy la presidenza di turno fosse esercitata da un Paese minore. Peraltro tra circa tre mesi scatterà il semestre della Repubblica Ceca e nel rapportarsi a Mosca l’Ue potrebbe mostrare qualche difficoltà in più. Sempre a proposito delle innovazioni che il Trattato dovrebbe apportare, proprio nella missione dell’8 settembre si è verificato un incidente tanto simbolico quanto imbarazzante, ma che ben fotografa l’attuale situazione. Il Cremlino ha protestato ufficialmente per la presenza della bandiera europea accanto a quella russa e ha cercato di tramutare l’incontro in un bilaterale Russia-Francia. In aggiunta Solana e Barroso sono stati relegati ad assistere alla conferenza stampa tra le file del pubblico. Ecco allora che ratificare Lisbona diventa condizione necessaria ma non sufficiente. Altrettanto indispensabile sarà scegliere leader forti, ma soprattutto autorevoli e sostenuti dai principali Paesi (Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna, Spagna e Polonia). Presidente dell’Ue e Alto Rappresentante, se simboli di competenza ed autorevolezza in ambito internazionale, si tramuteranno in un valore aggiunto per le singole diplomazie nazionali, ben lungi dal volerle sostituire.
Il secondo punto sul quale la crisi russo-georgiana apporta alcune importanti chiarificazioni riguarda il rapporto euro-atlantico. Il cambio di leadership in Italia e il virage della politica estera francese (Nato, Afghanistan) hanno ri-compattato l’Occidente euro-atlantico. La situazione attuale vede un obiettivo e fisiologico vuoto di potere da parte statunitense, causato dalla assorbente fase conclusiva della campagna presidenziale. Il prossimo Presidente Usa potrà però ripartire potendo gestire un prezioso capitale di unità e coerenza di vedute all’interno del fronte occidentale. Anche nei momenti di massima tensione della crisi non si è mai avuta l’impressione che Washington, Bruxelles e le principali cancellerie europee parlassero lingue diverse.
Terzo punto decisivo: l’affaire caucasico rende ancora più necessaria un’accelerazione nel percorso di costruzione di una difesa comune europea. Come ha più volte ricordato Sarkozy, un maggiore impegno francese all’interno della Nato è la chiave per ottenere da Washington il via libera per un migliore coordinamento europeo in materia di difesa. In un Occidente sempre più unito, l’Europa della difesa si inserisce come valore aggiunto accanto alla Nato e non di certo come possibile elemento di competizione. All’appello mancano però un impegno forte della Gran Bretagna, con
Infine le vicende dell’agosto caucasico dovrebbero imporre all’attenzione dell’Ue una riflessione seria e delle decisioni di conseguenza il più possibile definitive sui propri confini. Con che tipo di credibilità l’Unione può sedersi ad un tavolo negoziale con Mosca presentandosi come entità in perenne mutamento territoriale e addirittura facendo sfoggio di un principio identitario che fa dell’allargamento costante il suo tratto distintivo?
In sostanza, questa “calda estate” ha definitivamente strappato il velo di ipocrisia della cosiddetta “Europa potenza civile”, dove “civile” è in realtà troppo spesso sinonimo di inerte ed immobile. Dall’alto della teoria, l’Unione è scesa sulla terra dei complicati contenziosi diplomatici e ha scoperto che “fare politica” significa, almeno qualche volta, prendere iniziative e correre qualche rischio. L’Ue è ora a metà del guado: saprà attraversare il fiume delle utopie e dei falsi moralismi per iniziare una storia nuova, fatta di progressivo protagonismo internazionale e concretezza decisionale?