Con la lettera di Quagliariello al Foglio la politica torna infine a ragionare

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Con la lettera di Quagliariello al Foglio la politica torna infine a ragionare

31 Agosto 2012

L’intervento del Senatore Gaetano Quagliariello pubblicato su “Il Foglio”, e poi ripreso da questo giornale, rappresenta a mio avviso un buon esempio del modo in cui i problemi drammatici che stiamo vivendo andrebbero affrontati. Parlo di una questione di “metodo”, indipendentemente dal fatto di concordare, in tutto o in parte, con le tesi che esprime.

Un buon esempio, dicevo, perché nell’articolo, scritto con tono serio e pacato, Quagliariello finalmente “ragiona di politica”. Ci si potrebbe chiedere, in effetti, perché mai dovrebbe trattarsi di un fatto sorprendente. Che cosa dovrebbe fare un rappresentante del popolo eletto in Parlamento se non, per l’appunto, “ragionare di politica” senza ricorrere a strilli e forzature?

La risposta è molto semplice. Sono pochissimi, in questa fase, i politici che si mettono a tavolino e cercano di ragionare per capire quali possano essere le modalità che consentano di uscire – almeno parzialmente – dalla crisi drammatica in cui siamo sprofondati.

In genere si preferisce l’insulto urlato sui social network, l’improperio fine a se stesso, la denigrazione sistematica dell’avversario basata su motivazioni che, spesso, sono basate sull’antipatia personale più che su serie motivazioni ideologiche.

Giustamente il Senatore insiste molto sulla necessità di recuperare almeno una parte della sovranità nazionale che gli ultimi avvenimenti hanno tolto non solo all’Italia, ma anche ad altri Paesi membri dell’Unione Europea. Diciamolo però con franchezza. “Quanti” si erano accorti subito che il nostro e altri Governi europei erano stati de facto commissariati?

In realtà pochissimi. Questo perché il commissariamento non è stato deciso da un organismo sovranazionale dotato di pieni poteri politici come – in teoria – dovrebbe essere la UE. La decisione è stata assunta da un gruppo ristrettissimo di Paesi “forti” e di organismi economico-finanziari che oggi rappresentano il vero cuore pulsante – e quindi il potere – dell’Unione.

La consapevolezza è poi cresciuta in modo esponenziale con il trascorrere dei mesi, quando si è visto che le scelte politiche “vere” non venivano più compiute a Roma, Madrid o in altre capitali ormai declassate, bensì a Berlino, Bruxelles e Francoforte. Si è trattato di una presa d’atto dolorosa ma inevitabile, che deriva direttamente dal modo in cui l’Unione Europea è stata concepita sin dalle sue origini.

Se l’Unione fosse stata pensata come una vera entità sovranazionale di tipo federale, dotata di un Governo e di un Parlamento autonomi e in grado, sia pure entro certi limiti, di imporre le proprie decisioni ai Governi nazionali, non ci troveremmo ora in questa situazione. Ma non è stato così, e la storia la conosciamo tutti sin troppo bene.

E’ stata creata una moneta unica e una Banca centrale europea senza avvertire il pericolo che, agendo in quel modo, si creava un deficit politico pericolosissimo, in grado di disaffezionare i cittadini comuni poiché sarebbero venute a mancare le motivazioni fondamentali che dovrebbero spingerli a considerarsi in primo luogo “europei”, e solo secondariamente italiani, tedeschi, spagnoli etc. Tutto questo a dispetto della retorica europeistica che ci ha afflitto per anni portando, tra l’altro, a un allargamento sproporzionato – quasi folle – della Comunità originaria.

L’ideale europeo è insomma rimasto sulla carta nonostante tanti proclami roboanti, e la componente economico-finanziaria ha travolto quella squisitamente politica nei fatti, senza che nei vari Paesi prendesse corpo una sia pur minima percezione di quanto stava accadendo.

In Italia la situazione è peggiore che altrove a causa dell’estrema frammentazione del quadro politico, aggravatasi ancor più negli ultimi tempi. Si può essere a favore o contro il Governo tecnico, ma una persona raziocinante è in grado di comprendere benissimo la preoccupazione europea circa l’esito delle elezioni italiane nel 2013, ammesso che non vengano addirittura anticipate.

Qual è il panorama che abbiamo di fronte? Nei due schieramenti maggiori troviamo parecchie persone – ma non tutte – che cercano con fatica di ragionare, ed è il caso di Quagliariello. Poi una serie di forze che al ragionamento preferiscono l’invettiva e la demagogia pura. Penso ai seguaci di Grillo, di Di Pietro, a ciò che resta della Lega.

Pur nella loro diversità a tutti costoro ragionare interessa poco, giacché l’obiettivo in fondo è uno solo. Sfruttare lo scontento – usando un eufemismo – popolare per raccogliere quanti più voti possibile. Problema: per farne cosa, a giochi conclusi? E, a costo di essere in controtendenza, lo stesso mi vien fatto di dire per quanto riguarda il sindaco di Firenze Renzi. Vuole rottamare tutti in base alla carta d’identità, ma dal libro che ha recentemente pubblicato non si evince quale sia il progetto che ha in mente, se non quello di sostituire se stesso (perché “nuovo”) ai rottamati.

Un quadro sconfortante, anche perché continuando così rischiamo di dover cedere altri pezzi di una sovranità ormai ridotta al lumicino. “Ragionamento” è un termine che i politici dovrebbero amare e, soprattutto, mettere in pratica. Se non avviene saranno i cittadini a pagare un conto ancora più salato di quello attuale.