Con la riforma del ciclo idrico più controllo e trasparenza
28 Marzo 2011
Un Ato unico e una tariffa unica. Sono le principali novità introdotte dalla riforma del ciclo idrico integrato. Un provvedimento atteso, che ha impegnato il Consiglio regionale in una lunga e attenta riflessione. E sul quale, come avviene sui grandi temi, la maggioranza ha dato prova di compattezza e coesione.
Dopo anni di gestioni più o meno “distratte”, tra sprechi e inefficienze che hanno portato il settore fuori controllo, la legge approvata ha dunque come principale effetto l’accorpamento e la sostituzione dei sei enti d’ambito che programmano, controllano e affidano in gestione, con un unico Ente regionale (ERSI), presieduto dall’assessore regionale al ramo, affiancato da un consiglio composto dai quattro presidenti delle Province. Sono costituite, poi, quattro assemblee provinciali dei sindaci, chiamate ASII, presieduta ognuna dal presidente della Provincia, che avranno il compito di programmazione e affidamento del servizio. E soprattutto, uno degli effetti della riforma sarà l’avvio di una tariffa unica in tutta la regione dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione.
Certo, è stato importante rimettere in equilibrio un sistema zoppo, fonte di sprechi, inefficienze e di ingiuste differenze tariffarie. Restringere la maglia dei controlli, mandando definitivamente in soffitta – anche in questo settore, come è già accaduto per la sanità -, i retaggi del passato, rappresentati da gestioni a dir poco “allegre”, clientelismi e interessi privati. Ma forse si è gridato con enfasi eccessiva al salvataggio in extremis. E’ vero che il 31 marzo era prevista la scadenza della proroga concessa dal governo per l’affidamento senza gara della gestione e in questo modo si è scongiurando così il rischio di privatizzazione del servizio. Ma l’acqua è un bene prezioso e proprio per questo, responsabilmente, quando se ne discute, è necessario liberarsi da qualsiasi tentazione demagogica e lasciare spazio alla corretta analisi politica.
Se si fa questo, è inevitabile porsi alcune domande. Sembra che tutta la questione, così complessa, ruoti attorno ad un unico dilemma: No alla privatizzazione del servizio. Ma siamo sicuri che sia davvero la privatizzazione il problema? Specie in un paese dove il 90% delle gestioni idriche restano pubbliche? E ancora, siamo sicuri che l’equazione: l’acqua è un bene comune e la sua gestione deve essere pubblica sia la più giusta in assoluto? Perché, invece, non valutare che proprio perchè l’acqua è un bene comune la sua gestione deve piuttosto essere la più utile e vantaggiosa per il cittadino?E in questa prospettiva che sia pubblica o privata, non passa in secondo piano? Sarebbe interessante riuscire a mettere da parte gli strumentalismi e con sincero spirito critico, riflettere e ragionare su alcune false informazioni.
Per esempio, come già accennato, sul fatto che non è vero che Italia la gestione dell’acqua è universalmente pubblica. E questo ancora prima del decreto Ronchi (siamo a novembre del 2009) che ha sancito definitivamente il passaggio al settore privato della gestione dei servizi al cittadino. In molti comuni, infatti, il servizio è già in mani private. Così come è una falsa informazione la demonizzazione del privato a vantaggio del pubblico. Per alcuni servizi il pubblico è una condizione necessaria. Ma se il sistema non ce la fa? Se non viene garantito l’interesse generale? Può capitare che le gestioni pubbliche siano insufficienti e l’inefficienza è sempre in agguato.
La chiave perciò è modernizzare, soprattutto la mentalità. E mettere al primo posto la ricerca di modelli virtuosi, che garantiscano programmazione e controllo, in una parola: trasparenza. Tutta la partita, nell’ambito dei servizi al cittadino, si gioca sul controllo, che è il ruolo fondamentale del quale l’Ente pubblico deve riappropriarsi. La riforma approvata dal Consiglio regionale va in questa direzione. L’ente regionale del servizio idrico, L’Ersi, avrà proprio questo compito di controllo sulla gestione. Cosa che invece non accadeva – non poteva accadere – con il vecchio modello imperniato sugli Ato. E la ragione era semplice. In quel sistema ai sindaci spettava una funzione di controllo, ma i Comuni erano anche soci delle società di gestione del servizio. Insomma, controllori e controllati finivano per essere la stessa cosa.
Ora è stato ristabilito l’ordine. E discutere di gestione pubblica o privata è un puro esercizio di stile. Perché a fare la differenza dovrebbe essere solo la convenienza per il cittadino.