Con la Russia l’Occidente ha perso una opportunità

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Con la Russia l’Occidente ha perso una opportunità

06 Marzo 2014

Non molti anni fa, la storia ha offerto all’Europa l’occasione di ritessere le fila di un destino interrottosi brutalmente nel 1917. Il crollo improvviso e inatteso dell’Unione Sovietica ha sepolto la Rivoluzione d’Ottobre, stracciato la cortina di ferro, e restituito al Continente, dalle paludi dell’esperimento comunista, un figlio illustre: la Russia. Non si e’ trattato di un’epifania senza dolore. Gli anni succesivi all’implosione dell’URSS sono stati densi di apprensione per il destino di cio’ che rimaneva del vecchio Impero Russo. Mutilata di territori storicamente cari alla geopolitica zarista e alla cultura grande-russa come Odessa, la Crimea, parti del Kazakhstan, del Caucaso e dell’Ucraina orientale; impoverita economicamente da una transizione repentina e predatoria, che ha visto la fortuna di una superpotenza liquidata in pochi anni e concentrata nella mani di pochi oligarchi; guidata dalla figura sempre piu’ debole e controversa di Boris Eltsin e attraversata da onnipresenti tensioni separatiste, dal Caucaso alla Siberia; minacciata di inesorabile declino demografico, economico e militare – la Russia post-sovietica era un grande malato e un’incognita che ha pesato come una Spada di Damocle sui destini d’Europa, e del mondo intero. Poi arrivo’ Putin. Un giovane e oscuro leader saltato fuori come il proverbiale coniglio dal cappello del prestigiatore, nell’ultima ora dell’era eltsiniana, Vladimir Vladimirovic ha cambiato nel bene e nel male il volto e le chance del piu’ esteso paese della Terra. Nel corso degli anni ’90 la Russia ha sfiorato piu’ d’una volta scenari iugoslavi. Dalla Cecenia al Tatarstan ai separatismi siberiani, il rischio concreto era l’ulteriore implosione delle vestigia dell’impero zarista. Per l’Europa, e il mondo, sarebbe stato il caos. Arsenali nucleari, il secondo esercito al mondo, risorse cruciali come gas e petrolio si trovavano sull’orlo del baratro e potevano andar perduti in un girone dantesco di guerra, proliferazione e disordine su scala globale. A guardare la Russia di oggi, tuttavia, dovremmo cominciare a credere nei miracoli. Il paese ha arrestato il precipitoso declino economico in cui affondava sotto il confuso pasticcio eltsiniano; ha consolidato la tenuta territoriale ed eliminato la minaccia separatista in tutte le regioni dei suoi innumerevoli fusi orari; ha ricostruito la Cecenia e almeno per il momento evitato che un bubbone estremista islamico si impiantasse alle porte dell’Europa; ha costruito un polo di relativa stabilita’ per l’area ex sovietica; ha portato sotto controllo l’immenso arsenale nucleare sovietico; ha ottenuto un posto tra le economie piu’ industrializzate, si e’ associata a programmi di cooperazione con la Nato, ha guadagnato un posto nel WTO e ha operato pragmaticamente in questioni di politica estera, senza opporsi frontalmente agli interessi occidentali e senza ostacolare apertamente le imprese militari americane ai quattro angoli del mondo. Certo tutto cio’ ha avuto un costo. Il prezzo che la salvezza della Russia ha richiesto e’ stata la natura "controllata" della sua democrazia, la spregiudicata politica di cooptazione di uomini d’affari e fortune finanziarie e il loro asservimento agli interessi di stato, l’utilizzo di una magistratura corrotta per colpire nemici ideologici e politici, la meno che brillante performance nel campo di diritti umani e minoranze, il crescente potere degli apparati di sicurezza e la conseguente diminuzione del generale livello di liberta’ civile e democratica. La Russia di Putin non e’ diventato un modello di societa’ aperta, libero mercato e rispetto dei diritti universali, no. Ha pero’ garantito sicurezza, stabilita’ e crescente benessere, ridando dignita’ geopolitica, culturale e internazionale a uno dei grandi protagonisti della storia europea e dei destini globali. Troppo spesso, d’altronde, gli analisti sembrano dimenticare che l’ammirato e rispettato campione economico di oggi, la Cina, e’ ancora una dittatura monopartitica i cui standard di diritti e liberta’ sono di gran lunga inferiori a quelli della Russia putiniana. Per tutte queste ragioni c’e’ qualcosa di profondamente miope nelle caricature hitleriane cui l’Occidente ha ridotto Putin negli ultimi giorni, a seguito della crisi ucraina. Non si tratta solo di un grave errore di giudizio dovuto a grossolana superficialita’ e istintiva antipatia. E’ invece la spia di un’amnesia storica – il fallimento imperdonabile di una possibile ricucitura della storia d’Europa. E’ il segno di come l’Occidente, sotto la guida ideologica di un’America priogioniera di schemi desueti e mossa da avidita’ geopolitica, ha dissipato l’occasione storica emersa dalle nebbie della foresta bielorussa nel 1991, quando i leader delle repubbliche sovietiche europee apposero le rispettive firme al trattato che sanciva la pacifica disintegrazione della seconda superpotenza. La politica russa delle capitali occidentali e’ stata segnata da diffidenza, incomprensione e approssimazione. Gli interessi della Russia – dal Medio Oriente alle questioni della difesa strategica – sono stati clamorosamente sottovalutati, ignorati e ripetutamente sfidati, come nel caso della difesa missilistica europea, percepita da Mosca come un’alterazione inaccettabile degli equilibri di dissuasione e imposta dagli americani fino alle sensibili porte dell’Impero. La progressiva associazione dello spazio ex sovietico alla sfera di interessi euro-americana si e’ pertanto accompagnata non gia’ ad altrettante aperture nei confronti di Mosca, bensi’ a un palese progetto di inglobazione da un lato, e di separazione dai destini e dagli imperativi geopolitici russi dall’altro. La Russia non e’ tornata a essere attore e associato della storia europea; e’ rimasta, invece, un ex nemico dimezzato. La crisi ucraina di questi giorni porta dunque alla luce non soltanto l’ovvio – le tensioni territoriali e interetniche, gli interessi geopolitici e gli equilibri militari – ma anche qualcosa che gli analisti non colgono e i politici sembrano ignorare del tutto. Lo scontro frontale tra Putin e Obama – con le cancellerie europee al seguito – segnala la perdita definitiva, da parte dell’Occidente, dell’occasione storica apertasi con il riemergere della Russia sull’arena mondiale. La possiblita’ di riunificare i destini d’Europa, sanando la frattura sovietica e riportando in seno alla grande politica europea un protagonista che culturalmente, storicamente e geograficamente vi appartiene di diritto. Nonostante gli innegabili chiaroscuri, l’Occidente ha un grande debito di riconoscenza nei confronti di Vladimir Putin. E le vignette che oggi lo ritraggono come Adolf Hitler piu’ che un insulto alla persona lo sono all’intelligenza e alla coscienza storica di un continente che ha ricevuto un inaspettato regalo dalla storia, e lo ha gettato via per diffidenza, pigrizia e mancanza di prospettiva. Ci troviamo in un momento storico in cui l’Occidente ha piu’ che mai bisogno di ritrovarsi unito e compatto per affrontare sfide geopolitiche e culturali immense. La porta sbattuta in faccia a Putin – dal G8 a Sochi, alla cooperazione militare, alle possibili sanzioni economiche – va nella direzione opposta. E v’e’ un qualcosa di profondamente simbolico nella circostanza che la penisola sul Mar Nero dove due secoli fa i destini della Russia si scontrarono con quelli delle potenze europee, sia di nuovo lo sfondo di uno scisma che avrebbe potuto essere, invece, un’epocale riconciliazione.