Con la vittoria di Sebastian Piñera in Cile rinasce una destra liberale
18 Gennaio 2010
L’ultimo atto delle elezioni presidenziali cilene si compie nel pomeriggio di ieri, un’ora e mezza prima della chiusura delle urne: Sebastián Piñera è in vantaggio di tre punti sul candidato della Concertaciòn, Eduardo Frei, un vantaggio che resta intatto fino all’arrivo dei dati definitivi. Per la prima volta in 20 anni la destra cilena vince le elezioni presidenziali con il 51,61% delle preferenze, contro il 48,38% della grande alleanza di sinistra.
Il senatore e imprenditore Piñera, da oggi nuovo capo dello stato, è riuscito a smarcarsi dagli attacchi che lo descrivevano come un erede di Pinochet. Ha saputo spegnere la miccia accesa prima del ballottaggio dall’endorsement di Marco Enriquez Ominami, il giovane outsider dissidente socialista (forte del 20% al primo turno), che si era schierato con Frei. Piñera è apparso convincente anche sulla questione del “conflitto di interesse” – è azionista della emittente Chilevision e della compagnia aerea Lan Chile oltre che di imprese edili – che sembra comunque destinata a diventare uno degli argomenti scottanti del suo mandato.
La parola “cambio” è stata la più ripetuta in questi mesi di campagna elettorale e il popolo cileno con Piñera sceglie un un uomo capace di che rappresentare – al tempo stesso – un modello di continuità con la gestione Bachelet in tema di istruzione, di equità sociale e diritti umani (uno dei suoi spot in favore delle unioni omosessuali ha fatto storcere il naso alle gerarchie ecclestiastiche ed all’ala più conservatrice della sua coalizione), ma anche un elemento di novità in tema di libero mercato. La Concertacion, invece, ha compiuto scelte meno coraggiose in politica economica forse per non scontentare i Paesi vicini. Il centrosinistra si è trincerato dietro i vecchi dirigenti di partito della Dc e del Ps, da Lagos a Zaldivar, in un atteggiamento regressivo, incapace di fidelizzare le nuove generazioni, prigioniero delle vecchie parole d’ordine di sinistra e alieno a comportamenti pragmatici o innovatori.
“Non siamo la vecchia destra, ma una nuova destra che promuove il cambiamento, fatto di pace, unità e di rispetto. Un cambiamento che dovrà dare a tutti i cileni una vita più felice, sconfiggendo il sottosviluppo e sostenendo la classe media. In questo non partiremo da zero, perché è stato fatto molto in passato e noi lo abbiamo riconosciuto, ma abbiamo un nostro progetto ancora più efficace”, ha detto il nuovo presidente tra riconoscimeno di un superiore spirito nazionale e la definizione della sua policy. Nell’agenda dei primi cento giorni c’è il “Bonus marzo”, un contributo per i carichi familiari pari a 40mila dollari di cui potranno beneficiare quattro milioni di cileni; l’input per la costruzione di nuovi ospedali e l’inizio di una riforma della sanità; una campagna di sostegno alle piccole e medie imprese con l’obiettivo di creare un milione di posti di lavoro ed una crescita del PIL pari al 6% nei prossimi quattro anni.
Il nuovo presidente trova un paese in perfetta salute, unico con il Brasile a non subire gli effetti più gravi della recessione dello scorso anno, e con una popolazione interessata alle sorti della patria. Da oggi in Cile governa un liberale che ha saputo fare i conti con la parte più retriva e ortodossa del suo schieramento politico e che può guardare al proprio Paese con un occhio che non è solo quello del politico. Un segnale importante per l’America Latina, in particolare per Colombia e Brasile che sceglieranno il loro leader proprio quest’anno.