Con le primarie finisce l’antipolitica ma non comincia la democrazia

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Con le primarie finisce l’antipolitica ma non comincia la democrazia

15 Ottobre 2007

Facciamo la tara alle cifre comunicate
(vere, false, semivere e semifalse, com’è più probabile). Facciamo la tara ai
trionfalismi sfocianti in parata mediatica. Facciamo la tara, infine, anche
alle lezioni che neo-maestrini dalla penna rossa vorrebbero impartirci e
cerchiamo uno spazio per delineare il rapporto tra primarie e luogo comune. A
me pare che la consultazione di domenica ne distrugga uno e ne costruisca un altro.

Quello che ne esce a pezzi è il mito
dell’anti-politica. In due giorni, stando agli organizzatori, si sono
mobilitati 3.500.000 italiani: mezzo milione in piazza con Fini; 3.000.000 in
fila presso un seggio volante. Cos’hanno in comune tutte queste persone? Io
credo l’esasperazione contro il governo Prodi. Lo abbiamo sentito persino dalla
bocca di Michele Salvati: molti dei partecipanti alle primarie sono il popolo
di Grillo alla disperata ricerca di un’ultima speranza. Non dimentichiamoci,
peraltro, che l’irresistibile ascesa del comico genovese ha avuto la sua
impennata allorquando si è recato all’ultima festa di quello che fu il partito
di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer per prenderne a calci in faccia gli
eredi, al cospetto del popolo plaudente. Una parte di quel popolo, ci si può
scommettere, ieri si è recato a votare Veltroni ed ora spera che al più presto
il nuovo leader possa sostituire Prodi. Qualcuno pensa che così il governo si
sia rafforzato. Può anche darsi, constatato il suo stato comatoso. Ma s’è
creata una contraddizione che potrebbe essere mortale (e forse più di una). Per
risolverla, più che buonismo servirebbe abilità politica che, assai spesso, con
la bontà ha poco a che vedere: nella sostanza ma soprattutto nell’apparenza. I prossimi
giorni ci diranno se Veltroni saprà essere abile, senza per questo cadere in
contraddizione con la sua essenza.

Il luogo comune che invece rischia di
consolidarsi è che domenica si sia svolta una grande prova di democrazia. A me
pare che, se di democrazia si tratta, essa è invece imperfetta e un po’
claudicante. Non voglio fare riferimento alle ricevute di voto di “votanti
multipli” (chi di tre chi di cinque) sbattute in prima pagina. Mi sembra più da
gentiluomo riferirmi, invece, alla circostanza per la quale sempre più spesso –
e proprio da quanti dicono di odiare il populismo – ci si appella al popolo in
modo fantasioso, per poi comunicare urbi et orbi di aver raggiunto un grande
risultato e di aver dato un grande contributo alla democrazia del Paese. Così,
i sindacati fanno il referendum sputtanati in diretta televisiva dall’onorevole
Rizzo (non certo uno di destra!); il Partito Democratico indice le sue primarie
con tanto d’endorsement del servizio pubblico televisivo; Capanna, addirittura,
promuove un “referendum fai da te” sugli OGM utilizzando all’uopo
anche finanziamenti dello Stato.

Vogliamo dire una cosa conclusiva a tutti
questi organizzatori: passi per i “grandi risultati” numerici da loro
raggiunti. Ai trionfalismi ci si è vaccinati da tempo attraverso la
comprensione della necessaria umiltà del fatto democratico. Ma lascino stare la
democrazia. Quella rappresentativa, che regola la vita dei Parlamenti, prevede
la sedimentazione del giudizio che, non a caso, è previsto si esprima alle elezioni
ufficiali a scadenze regolari e non troppo ravvicinate. E’ certo che la
velocizzazione della comunicazione, i nuovi mass-media, i sondaggi, hanno messo
in crisi la sua struttura fondamentale. E questa crisi, inevitabilmente, ha
posto anche in discussione il funzionamento dei partiti e i meccanismi di
selezione della classe dirigente. E’ giusto, dunque, affrontare il problema e,
se del caso, giungere anche a fissare nuove regole e inedite regolamentazioni.
Ma finché queste non saranno approvate divenendo leggi dello Stato, i poteri
pubblici dovrebbero tenersi fuori dalle sperimentazioni promosse da sindacati,
partiti e uomini politici. Esse è bene che abbiano una valenza soprattutto
interna e non indichino per forza, come a tutti i costi si vorrebbe, le sorti
progressive della politica.

E’ per questo che per me i 3
milioni di votanti per il segretario del nuovo Partito Democratico non valgono
più delle centinaia di migliaia di iscritti che stanno votando in questi giorni
nei congressi di Forza Italia. Non si tratta di una richiesta paradossale di
quella par condicio che detesto come tutti i falsi miti. Si tratta di tener
fermo un principio di democrazia: quella vera.