
Con Trump le carte si rovesciano sul tavolo della Storia

29 Gennaio 2025
A volte ci si ritrova in fasi storiche in cui è forte la percezione di essere dinanzi a un cambiamento di paradigma. O, per banalizzare, in cui le carte si rovesciano sul tavolo della storia. Avviene solitamente dopo guerre, rivoluzioni, catastrofi. Avere la consapevolezza di vivere in uno delle faglie della storia significa già avere intrapreso l’attraversata del tunnel, pur non vedendo alcuna luce in profondità.
Ė un processo descritto dallo scrittore Coupland: “Quasi tutti abbiamo soltanto due o tre momenti davvero interessanti in tutta la vita, il resto è solo riempitivo”. Discorso che si dispiega sia a livello individuale sia livello sociale. I baby boom hanno avuto la fortuna di vivere i trenta anni meravigliosi dal Dopoguerra agli anni Settanta del secolo scorso.
I loro figli hanno vissuto la stagione delle rose e delle spine della contestazione, della velleitaria aspirazione rivoluzionaria. I nipoti dei boomer vivono oggi il loro passaggio di fase: prima la pandemia, poi due guerre alle porte di casa e ora il lento sgretolamento del mondo dei loro padri e nonni: la regressione democratica, il ritorno di simboli e parole di un vecchio mondo che riprendono vigore, leader come Putin che invadono l’Ucraina, o come il neopresidente americano che mette gli occhi sulla Groenlandia e sul canale di Panama, che cambia con un atto monografico il nome di un mare.
Il “secolo europeo” rischia un lento dissolvimento: emergono un po’ dappertutto gruppi politici che rispolverano simboli del secolo del totalitarismo. E Trump si pone nientemeno che l’obiettivo di cambiare il common sense, il senso comune. Un vasto programma, direbbe il generale De Gaulle.
La rivoluzione culturale promessa dalla neodestra italiana, il tentativo di cambiare narrazione, nella migliore delle ipotesi è rimasta sulla carta. Trump, invece, sembra fare sul serio: schema binario maschio-femmina, frontiere blindate con l’esercito, la foto simbolica di una decina di deportati trasportati in catene sull’aereo per riportarli al Paese di origine, stop al Green Deal, alla partecipazione all’Oms. E poi, l’arma principale: la minaccia dell’aumento dei dazi (tra il 10% e 20%) dei prodotti importati dall’Europa.
Sarebbe un tracollo per l’Europa e per l’Italia che hanno un saldo economico uscite ed entrate, favorevoli. Se esportare parmigiano e bollicine costerà di più per gli imprenditori del Nord, non è difficile prevedere una situazione più critica per le imprese meridionali. L’eventuale calo del Pil sarebbe dello 0,23%, che andrebbe a sommarsi a previsioni di crescita tutt’altro che rosee.
Ma Trump ha vinto: ha schiacciato i Democratici americani, ben lontani da riprendersi dallo choc, rappresenta una sfida all’Europa che non ha ancora compreso come reagire, intende riscrivere la storia contemporanea ma anche la geografia, ha promesso di portare la pace in Ucraina e nella striscia di Gaza, ma non si capisce con quale mezzo.
Inseguire il presidente Usa e criticarlo per ogni affermazione politicamente scorretta non condurrebbe molto lontano. Trump ha preso i voti non solo dell’America bianca, ricca, maschia, ma anche degli ispanici, degli afro-americani, delle donne. Dei grandi capitalisti, fotografati insieme mentre baciavano l’anello del nuovo Dominus agli esuberi dello sviluppo, agli sconfitti della globalizzazione. Il populismo, che sembrava smunto, è ritornato ad alzare le proprie vele con il vento in poppa.
Con Trump, Milei, Orban, l’estrema destra tedesca e spagnola e le varie destre radicali sparse per il mondo si chiude il “secolo socialdemocratico” e liberale. Quello che verrà dopo appare un mondo pieno di incognite che la generazione dei boomer lascia in eredità ai propri nipoti.