Con un colpo di fortuna si sarebbe potuta imbastire una vera inchiesta

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Con un colpo di fortuna si sarebbe potuta imbastire una vera inchiesta

04 Agosto 2011

 –   Ma certo che sono contenta, mi piacerebbe molto leggere per prima la bozza dell’articolo.

–   Posso portargliela oggi stesso?

–   Non c’è problema.

–   Diciamo fra mezz’oretta?

–   Perfetto. Così potrà trovare anche Salvatore e la potrà far leggere anche a lui. Deve sapere che lui e mio marito si conoscevano da molto tempo.

–   Davvero? Allora sarà un piacere farlo leggere anche a lui.

La mia idea era semplice: far toccare a Dazi il foglio della bozza e poi darlo a Rita per farlo cercare nella banca dati della questura.

Se era veramente qualcun altro, e per un colpo di fortuna era schedato, si sarebbe potuta imbastire una vera e propria inchiesta per scoprire i motivi che lo avevano spinto a cambiare identità rubandola a un morto ammazzato.

E nemmeno si poteva trattare di un caso di omonimia, perché avevamo già controllato.

Avevo un’ora di tempo per fare qualunque cosa volessi, ed erano appena le nove. Cercai di ricordare se avessi qualcosa di improcrastinabile da fare e rammentai che volevo parlare col mio amico Giosuè per chiarire un punto che mi aveva lasciato con l’amaro in bocca.

Ovviamente il bar, anche a quell’ora, vantava una ragguardevole densità di clienti, e vedevo che il mio amico cominciava ad assomigliare alla dea Kalì per il numero braccia che sembrava avere.

–   Cappuccino come sempre?

–   Espresso!

–   No! — disse stupito — Ti sei convertito?

–   Fai questo caffè.

Lo preparò come se si trattasse dell’Eucarestia: si trattava di sfondare il baluardo del cappuccino che ai suoi occhi incarnavo.

Me lo porse. Vi versai un cucchiaino di zucchero e lo rimestai. Soffiai un tantino per raffreddarlo e poi lo assaggiai. Lo assaporai e, nonostante mi facesse schifo, dissi:

–   Molto buono, ma preferisco il cappuccino.

Lui doveva aver intuito il mio disgusto e mi preparò un cappuccino come onore alle armi.

–   Dimmi un po’, Giosuè, chi ti ha detto che la Masero era lesbica?

–   Spiacente, Laerte, ma non dico il nome dei miei confidenti.

–   Suvvia. Quando uscirà sul giornale l’articolo che parla di me come solutore della morte di Massimiliano, citerò il tuo preziosissimo aiuto…

Lui sembrava perplesso.

–   …e il nome del tuo bar.

Ci pensò un attimo soppesando tutti i pro e i contro della faccenda. Lui lo vedeva come un tradimento: quando un pettegolo è tale rispetta un codice di comportamento alla quale lo lega la fiducia dei suoi confidenti. Quando poi si risolse a sbottonarsi, io avevo le orecchie spalancate come due parabole.

–   Renditi conto che si tratta di qualcosa di tanto scorretto che potrei finire direttamente all’Inferno.

–   Tranquillo, amico mio, se pensi di essere tanto illustre da finire insieme ad Hitler, Stalin e Yoko-Hono sei decisamente presuntuoso: tu sei solo un barista medio.

–   So quel che dico. Ebbene, quello che mi ha detto che la Masero è lesbica è…

Me ne bisbigliò il nome nell’orecchio e quando sentii di chi si trattava lanciai un fischio lungo e profondo come un ululato. Ecco perché temeva di andare all’Inferno.

Dopo aver bevuto in fretta il mio cappuccino andai diritto nel posto dove sapevo di trovare il delatore: la chiesa di San Giovanni Battista.