
Concorso Cnr: “Il Giornale” cade nella trappola sindacale

06 Dicembre 2007
“Il Giornale”
(5 dicembre) dedica un’intera pagina al Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR),
i cui problemi non sono pochi, e non da oggi. Tra i non minori, quello di
essere ormai da mesi senza guida, visto che il Prof. Fabio Pistella è passato a
nuovo incarico all’inizio dell’estate e non è ancora stato sostituito (come
spiega il fondo a firma di Pietro Serra). Ciò che però ha soprattutto attirato
la nostra attenzione è l’altro articolo, quello firmato da Guido Mattioni, che
ritorna sul concorso interno al CNR, bandito nel 2002 e terminato alla fine del
2006 (quindi un anno fa), il quale era stato previsto per consentire un
avanzamento di carriera a 1.251 ricercatori i quali per quasi dodici anni non
avevano potuto usufruirne per ripetuti blocchi decretati dalle leggi
finanziarie.
In realtà, Mattioni non
fa che riprendere pari pari una denuncia pubblicata in febbraio in un libro
bianco dalla sigla sindacale Unione Sindacale Italiana/Ricerca di Base. Gli
esperti dei “Lavoratori della Ricerca”, sotto la guida del
segretario, Rocco Tritto, hanno spulciato i verbali delle 62 commissioni
scientifiche esterne che tra l’aprile e il dicembre 2006 hanno valutato titoli
e pubblicazioni dei ben 2.357 candidati CNR e ne hanno, con scrupolo e
pignoleria, elencato gli errori, le incongruenze, le omissioni e le
contraddizioni. Tanto per capirci, ecco come titola “Il Giornale”
l’articolo di Mattioni: “L’odissea dei ricercatori … giudicati in 11
secondi”, sottotitolo “In un libro bianco … tutte le illegittimità
nelle selezioni”.
Non è nostra intenzione
addentrarci nei dettagli elencati dall’inchiesta sindacale, e riportati
pressoché verbatim da Mattioni.
Diciamo però subito che chiunque abbia fatto parte di una commissione di
concorso che deve giudicare della “scienza” dei candidati,
comparandone i risultati, sa bene che le montagne di carte e di buste che devono
essere scritte, trascritte, copiate, vidimate e firmate contribuiscono soltanto
a lavori dai tempi infiniti (mesi, anni), nonché a un’enorme confusione e
stanchezza nei commissari, i quali, peraltro mai pagati e tutt’al più
rimborsati (mesi dopo) per il loro lavoro, alla fine firmerebbero qualsiasi
pezzo di carta pur di poter mettere la parola fine a quelle pratiche
antidiluviane. Da cui, da una parte l’opinabilità di certi giudizi (giudicare
della validità comparativa delle pubblicazioni di due o più candidati non è mai
un’operazione aritmetica e gli errori certamente sono possibili), dall’altra i
clientelismi e gli abusi che a volte volutamente si perpetrano sotto
l’apparente perfezione della forma.
Ma qui siamo però fermi
al piccolo scandalismo di bottega, a quella perenne geremiade contro i
“baroni” universitari (che non esistono praticamente più, nemmeno in
Italia, da decenni), a quella filippica reazionaria che invoca il ritorno a una
mitica e mai esistita età dell’oro in cui
i concorsi di stato si facevano “seriamente” e i commissari
erano integerrimi scienziati. Ma c’è di peggio, e qui sta il vero nocciolo del
problema. C’è una concezione tutta sindacale della ricerca, in cui (e cito da
Mattioni che a sua volta probabilmente cita dal libro bianco), ci sono
“centinaia di ricercatori con anni di onorata carriera [che] si sono visti
negare … il riconoscimento dell’attività svolta”. Infatti, in primo
luogo, il concorso è stato aperto anche a ricercatori CNR “che a quella
data [31 dicembre 2001] avevano maturato pochissima o nessuna anzianità”.
In secondo luogo, ben 1.260 candidati (cioè il 53.7%) è stato alla fine
giudicato “non idoneo” all’avanzamento di carriera per il quale
avevano concorso. Da cui, ovviamente, il solito mare di ricorsi amministrativi
da parte di ben 1.516 candidati, sponsorizzati dalla sigla sindacale suddetta,
che, si può ipotizzare, renderanno ancor più infiniti i lavori di una concorso
già di per sé infinito.
Insomma, invece di
gridare allo scandalo per il fatto che le 62 commissioni esterne (composte,
immaginiamo, da qualche centinaio di studiosi) avessero valutato negativamente
una così larga fetta dei ricercatori CNR (e sui grandi numeri, lo sappiamo
bene, è ben difficile parlare di trucchi e di combines), i cosiddetti
Lavoratori della Ricerca, e Mattioni con loro, non sanno far altro che parlare
di scatti, di anzianità, di onorate carriere, e magari di diritti acquisiti.
Negando in tal modo proprio il valore intrinseco di quei concorsi pubblici i
cui verbali hanno esaminato con scrupolo degno di miglior fine, e il cui primo e unico compito dovrebbe essere
quello di intervenire sul merito della ricerca, e quindi della qualità del
ricercatore.
La denuncia de “Il
Giornale” è forse motivata dal fatto che il responsabile ultimo del CNR è
oggi il ministro Fabio Mussi (del cui mandato noi stessi abbiamo spesso
denunciato duramente lo spirito burocratico-involutivo), alla cui
responsabilità peraltro non si può attribuire l’andamento di un concorso che è
avvenuto durante gli anni del precedente governo. Ma quella denuncia ci trova
in disaccordo proprio perché, dalla destra, ci piacerebbe vedere un’altra
concezione della ricerca scientifica e universitaria: una concezione che vada
dritta alla qualità e al merito, premi i migliori e sanzioni i peggiori, e che,
soprattutto, la faccia finita una volta per tutte con quell’idea malsana per
cui il “concorso pubblico” è la panacea di tutti i mali. Ma è proprio
necessario ricordare, ancora una volta, che laddove la ricerca è più avanzata e
le università sono migliori nel mondo, vale a dire nei paesi di matrice
anglosassone, ma anche nel Québec di lingua francese e nei paesi del Nord
Europa, i concorsi sono ignoti e vige soltanto la regola del “giudizio dei
pari”, quella che prevede che gli scienziati siano giudicati soltanto dai
propri simili e che ogni istituto di ricerca e universitario sia responsabile
delle proprie scelte?