Considerazione sul “copia e incolla” di Umberto Eco
14 Gennaio 2011
In tema di università e scuola Umberto Eco non si è mai risparmiato. Nella sua generazione, si è sempre distinto per non essersi mai negato alle più spregiudicate complicità (o, se si preferisce, alle più eleganti civetterie) con quel che gli pareva il ’68 e il sessantottismo significassero.
Ora capita che in molti punti del suo ultimo libro emergano l’uso (e magari l’abuso) di un "copia e incolla" fin troppo diffuso. Qualcosa comincia ad emergere.
Certo, come ha suggerito Sergio Romano sul "Corriere della Sera", "assistere dalla finestra della sua enorme biblioteca a una gara fra lettori desiderosi di individuarne le fonti" potrebbe fargli piacere. Ma la vicenda di quell’insegnante del buon tempo antico, la quale ha saputo documentare come l’episodio riportato a pagina 153 de Il cimitero di Praga fosse già parola per parola nel diario di G.C. Abba Da Quarto al Volturno, rimane istruttiva. Tanto sessantottismo ostile al nozionismo, cioè quello praticato da Umberto Eco in anni e anni di collaborazione a "L’Espresso" sui problemi della scuola italiana, non ha poi fatto i danni che si riproponeva.
Se non fosse per quel che resta del nozionismo, ai critici della Gelmini sarebbe stato negato perfino la facoltà di citare quell’abilitazione alla professione conquistata a Catanzaro. Alla Gelmini, non ancora ministro di Berlusconi, non si perdona di essersi recata da Bergamo a Catanzaro. Con Eco, ed è giusto sia così, c’è molta più indulgenza di itinerari (Praga, Quarto, Volturno, ed altro ancora). Viva il nozionismo.
(Luigi Compagna)