Considerazioni (amare) di un ex ministro ex comunista sulla cultura

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Considerazioni (amare) di un ex ministro ex comunista sulla cultura

15 Maggio 2011

 

“Anche le riforme liberali che per la prima volta abbiamo avviato in Italia nel campo della cultura sono destinate a essere sommerse da un coro che tutto riduce nuovamente a un puro problema di risorse. Questo in fondo, il non avere accompagnato nei limiti del possibile le riforme in un campo cruciale come quello della cultura, è la sottovalutazione più grave che non posso non addebitare al ministro Tremonti”. Sandro Bondi sceglie a chiusura del suo ultimo libro La cultura è libertà (in libreria dal 5 maggio per la collana Frecce dei tipi Mondadori, € 18) di rendere nota la lettera con cui lo scorso 23 marzo, nel presentare in consiglio dei ministri il decreto con cui attraverso un aumento di 0,9 centesimi dell’accisa sui carburanti reintegrava le risorse del ministero per i beni culturali, si dimetteva dal governo. Il passaggio citato rende manifesto il disagio da lui patito nel corso della triennale esperienza a capo di un dicastero senza dubbio difficile, soprattutto per un esponente di centro destra proveniente per di più da una lunga militanza nelle fila del partito comunista italiano.

La sua è stata la sorte di un apostata che ha ben compreso per averli conosciuti e praticati i meccanismi dell’egemonia culturale di quella compagine politica e che, una volta al governo, ha cercato di introdurre una nuova visione liberale, andando contemporaneamente a scontrarsi sia con gli antichi compagni di credo sia con alcuni degli esponenti di maggior rilievo dell’alleanza di cui ora fa parte.

Un percorso sofferto e doloroso, che traspare con evidenza nelle 168 pagine del volume articolato in tre sezioni: una ricca ed analitica pars destruens, in cui si ripercorre lo stretto vincolo esistente in Italia tra la teoria comunista, a partire da Marx fino alla definizione compiuta di Gramsci per poi arrivare alla piena applicazione da parte di Togliatti, e gli intellettuali e più in generale il mondo della cultura, visto come grimardello per la conquista del potere; un intermezzo dedicato all’irruzione di Silvio Berlusconi sulla scena politica con il conseguente smascheramento dell’ideologia sottesa alla pratica dell’egemonia culturale; infine una coincisa ma ficcante pars costruens, in cui si percepisce nei secchi interrogativi e nelle risposte scolpite come pietre l’asprezza di una riflessione condotta forse troppo a ridosso di fatti che hanno lasciato il segno, sia a livello politico che personale.

Per condurre una rivoluzione copernicana delle politiche per la cultura – abbandonando così il termine di politica culturale cui ancora gran parte dell’intellighenzja nostrana è intimamente legata – Bondi invita a proseguire sul percorso da lui intrapreso, nel quale la promozione e la democratizzazione della cultura deve essere preminente rispetto alla tutela del patrimonio culturale.

L’introduzione della direzione generale per la valorizzazione, affidata a un manager che niente ha a che vedere con il mondo della cultura come Mario Resca, mira proprio a questo: avvicinare il più possibile i cittadini, tutti e non solo le élite, a godere maggiormente dei musei, delle aree archeologiche, dei monumenti che ci circondano, ad andare di più a teatro e all’opera, di accedere più facilmente a un certo cinema di ricerca.

Insomma, violare i confini del tempio in cui fin ora ha avuto accesso solo una ristretta cerchia del tutto autoreferenziale e prevalentemente soggetta all’influenza egemonica della sinistra per rendere, secondo Bondi, la cultura più democratica. Solo questo può essere il compito di un ministero della cultura in Italia, che altrimenti, secondo Bondi, andrebbe abolito, riportando le competenze in materia di tutela e gestione del patrimonio culturale alla Pubblica Istruzione, che potrebbe tra l’altro creare un circuito virtuoso tra beni artistici e scuola per una maggiore promozione della cultura, e restituendo le competenze in materia di cinema e spettacolo alla Presidenza del Consiglio.

Parole drastiche e risolute, soluzioni draconiane inaspettate da chi ha coltivato l’arte della mediazione con un’impronta spiccatamente incline alla moderazione. Segno evidente che è stato superato un limite, atto che Bondi identifica con la mozione di sfiducia personale nei suoi confronti e che lo ha indotto a un profondo mutamento personale e politico ancora non pienamente disvelato, ma che è possibile intravedere con chiarezza in questo testo.