Consigli al governo per metter mano alle pensioni (complementari)

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Consigli al governo per metter mano alle pensioni (complementari)

04 Maggio 2009

Si è recentemente avuto modo di evidenziare la correttezza della scelta governativa, elaborata con determinazione dal Ministro Sacconi, di non  porre in essere nuovi interventi di riforma del sistema pensionistico di base. Si è, peraltro, ad un tempo sottolineato come la grave crisi economica internazionale e nazionale, incidendo in senso negativo sull’andamento del PIL, da un lato renda prospetticamente più sostenibile – per gli enti previdenziali – il peso dello stock di debito pensionistico determinato con il metodo contributivo, dall’altro, in necessaria correlazione, depauperi il livello di copertura atteso degli assegni di primo pilastro dei futuri pensionati. Con maggior forza si ripropone, quindi, il ruolo e la funzione della previdenza complementare, per cercare di restringere il differenziale crescente tra reddito di lavoro finale e trattamento pensionistico, quello che i tecnici indicano con la locuzione “tasso di copertura”.

Non è pertanto casuale che la Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato, da qualche tempo, stia conducendo un giro di audizioni proprio dedicate alla specifica tematica del rilancio dei fondi complementari e che, in generale, in varie sedi tecniche e politico-sindacali si sia riavviato il dibattito sulla seconda pensione. In effetti, ferma restando la sopra richiamata scelta dell’Esecutivo di congelamento del quadro normativo della previdenza di base, per l’ordinamento del secondo pilastro  sarebbe anche ipotizzabile compiere qualche, sia pur limitato e mirato, intervento legislativo di modifica, da accompagnare, auspicabilmente, con alcune altre iniziative, di cui si dirà di seguito.

Nell’ottica di supportare eventuali interventi manutentivi dell’assetto normativo della previdenza complementare, da tempo Assoprevidenza, in estrinsecazione della funzione di centro tecnico nazionale di previdenza e di assistenza complementari, alieno da ruoli di rappresentanza di settore o da funzioni di parte sociale, ha elaborato una sorta di catalogo di possibili iniziative. Va da sé che l’Associazione è ben conscia che molte delle proposte formulate non siano nell’immediato ragionevolmente praticabili, specie là ove incidano sul gettito tributario corrente. Ciò non di meno è parso opportuno elaborarle e darne diffusione, in attesa di sperati “tempi” migliori.

Tra gli interventi individuati, vi sono:
–    la riduzione della misura della contribuzione di solidarietà a carico delle imprese (10%) sull’ammontare dei contributi da esse versate a piani di previdenza complementare (lo stesso discorso, sia detto per inciso, vale anche per il mondo parallelo dell’assistenza complementare);
–    la revisione del quadro della fiscalità, nei tre segmenti di rilevanza:
•    avuto riguardo alla deducibilità dei contributi, la trasformazione dell’attuale misura fissa in un minimo, a cui si giustapponga una misura percentuale di ragionevole misura;
•    l’abolizione del prelievo dell’11% sul  risultato annuo di gestione;
•    l’estensione della tassazione del TFR sulle prestazioni in capitale e l’applicazione dell’ IRPEF ordinaria su quelle in rendita, con abbattimento percentuale delle basi imponibili di entrambe in ragione della durata della permanenza nel piano pensionistico (ad es.: 1% pro anno);
–    l’utilizzabilità delle polizze collettive quale strumento di gestione di linee o comparti anche da parte delle nuove forme di previdenza complementare;
–    la revocabilità, a cadenza quinquennale, della scelta di destinazione del TFR a previdenza complementare (si raccomanda l’uso del termine “revocabilità” e non già “reversibilità” per evitare confusione con altro istituto giuridico della previdenza);
–    la riconsiderazione della funzione della contrattazione collettiva, con possibilità di rendere cogente la partecipazione al fondo pensione da parte dei lavoratori del bacino di utenza considerato, fatta salva la facoltà del singolo lavoratore di:
•    rinunciare alla partecipazione al piano previdenziale entro 90 giorni dalla data di sottoscrizione dell’inerente intesa collettiva;
•    uscire dal fondo pensione dopo una permanenza minima di 3/5 anni, trasferendo ad altra forma, liberamente scelta, la propria posizione individuale, mantenendo inalterato il diritto al contributo datoriale anche per il futuro;
–    l’obbligo di percezione della rendita per i soggetti appartenenti a qualsivoglia regime previdenziale di base, per le cui regole essi risultino destinatari di assegno pensionistico integralmente determinato con applicazione  del metodo contributivo.

Come si è detto, la maggior parte delle proposte in precedenza esposte “in pillole” (ma su taluna di esse, di grosso spessore, sarà opportuno ritornare quanto prima in via più analitica), seppure tecnicamente impeccabili, non paiono di immediata recepibilità, vuoi per i costi erariali connessi (innovazioni di carattere tributario), vuoi per la forte valenza ideologico/sindacale (nuova valenza della contrattazione collettiva e libertà dei lavoratori). Due di esse, tuttavia (l’utilizzabilità delle polizze collettive anche da parte dei nuovi fondi negoziali e la revocabilità “regolata” della destinazione a previdenza complementare del TFR), prive di costi e volte ad offrire maggiori spazi di libertà, potrebbero essere facilmente inserite in qualche veicolo legislativo e giungere rapidamente sulla Gazzetta Ufficiale.

In ogni caso, permane l’assoluta necessità di impostare piani di sviluppo della cultura previdenziale dei cittadini, a supporto dei quali l’imposizione a tutti gli enti pensionistici di base di fornire, almeno a cadenza annuale, la proiezione della posizione pensionistica di base di ciascun lavoratore iscritto potrà risultare una carta vincente. L’accesso degli utenti a  procedure informatiche ad hoc potrà poi rendere l’informativa sempre disponibile.