Contro il Giornale censura preventiva per un sms

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Contro il Giornale censura preventiva per un sms

08 Ottobre 2010

Nicola Porro e Rinaldo Arpisella sono conoscenti di vecchia data. Due amici che chissà quante volte avranno “cazzeggiato” per telefono ma che il 15 settembre, secondo i giudici, hanno passato il limite. Il primo manda un sms al secondo: “Ciao Rinaldo domani super pezzo giudiziario sugli affaire della family Marcegaglia”. Seguono una serie di telefonate tra i due, nel corso delle quali Porro dice ad Arpisella: “Per venti giorni romperemo il cazzo alla Marcegaglia, ho spostato i segugi da Montecarlo a Mantova”. A Mantova non è mai arrivato alcun inviato del giornale, che impegnato a fornire prove ai lettori della propria inchiesta giornalistica nei confronti della casa di Montecarlo (che, vale la pena di ribadirlo, al momento pare di proprietà di Giancarlo Tulliani), forse neppure si sarebbe potuto permettere il lusso di avviare un dossier (le inchieste giornalistiche non di sinistra si chiamano così) sulla famiglia Marcegaglia. Ma secondo i pm Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, che hanno emesso i decreti di perquisizione a carico di Porro e Sallusti, dalle intercettazione si evince la volontà di ricattare e coartare la Presidente degli Industriali. Vedremo domani, quando Il Giornale dedicherà quattro pagine alla Marcegaglia (come ha confermato la direzione), di quale ricatto si tratta.

Dalla vicenda che vede implicato il vicedirettore del Giornale – che oggi nella bacheca del suo profilo di facebook scrive “sotto choc. Non pensavo” – si può trarre una considerazione più elementare e una più enigmatica e allarmante. La prima, quella più elementare. La trascrizioni delle telefonate intercettate sono decontestualizzate, e come tali possono trarre in inganno: è difficile, infatti, cogliere il tono scherzoso ed è quindi fin troppo ovvio che possano provocare sgomento in chi le legge. Se si trasforma lo scherzare colloquiale tra due amici di vecchia data – ancora di più se si tratta di un giornalista e di uomo di pubbliche relazioni – in un botta e risposta scritto, viene fuori una visione totalmente distorta della realtà. Può venir fuori, appunto, il senso del ricatto e non della battuta.

La seconda considerazione chiama in causa direttamente la libertà di stampa, quella tanto cara al Popolo Viola. Oggi non solo si vuole una magistratura unilaterale, ma si vuole anche una stampa unilaterale. Avanza, continua a farsi spazio pericolosamente, un’idea totalitaria di verità, che passi esclusivamente per le mani della magistratura e della stampa orientata a sinistra. Una sorta di monopolio che non concede margini d’azione ad altri. Oggi chi ha ancora il coraggio di fare inchieste se gravita attorno al centrodestra viene subito tacciato di essere un “servo”, di “gettare fango” su qualcosa o qualcuno perfino quando l’inchiesta costringe la magistratura a inseguire la notizia (è il caso di Montecarlo) e altri giornali di diverso orientamento ad allinearsi (è il caso del Corriere della Sera che ha chiesto risposte a Gianfranco Fini in merito all’affair della città monegasca).

Invece, quando un giornalista che fa capo a un giornale di centrosinistra pubblica atti giudiziari a rotta di collo per giorni e giorni, beh, quelli sì che sono giornalisti con la “G” maiuscola, quelli da cui tutti gli aspiranti professionisti della penna dovrebbero prendere esempio. A loro sono permessi commenti al vetriolo, calunnie mascherate da servizi giornalistici, allusioni a fatti e persone mirati a depistare il lettore. Ma nel primo caso si tratta sempre e solo di bufale mediatiche orchestrate ad hoc, magari grazie allo zampino dai servizi segreti (deviati), mentre nel secondo caso sono veri scoop da manuale giornalistico.

Succede allora che il cazzeggio tra due vecchi conoscenti finisce con un’accusa ai danni di uno dei due (e del suo direttore, Sallusti): violenza privata. E con una serie di perquisizioni alla ricerca del “corpo del reato”, come oggi Vittorio Feltri nel suo editoriale ha definito il “dossier” incriminato (del quale, ovviamente non se ne è trovata traccia). Restano invece il fango, quello gettato su due giornalisti, e la consapevolezza che grazie a una interpretazione cavillosa del codice e grazie all’uso "a strascico" delle intercettazioni per la prima volta in Italia abbiamo assistito a un nuovo tipo di censura: quella preventiva.

Resta, infine, l’amaro in bocca perché con troppa disinvoltura c’è chi si strappa i capelli dalla testa per una presunta mancanza di libertà di stampa,  si mette il bavaglio per una legge che in realtà ha lo scopo di trovare il giusto equilibrio tra il diritto alla privacy dei cittadini – sancito dall’Articolo 15 della Costituzione – l’attività investigativa e, appunto, la libertà di stampa e, contemporaneamente, si giustificano la perquisizione al Giornale e alla casa di Sallusti e Porro. E’ l’Italia, bellezza.