Contro Vendola il Pdl pugliese non può più compiere gli errori del passato

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Contro Vendola il Pdl pugliese non può più compiere gli errori del passato

23 Maggio 2010

Non naviga col vento in poppa la nave berlusconiana, e il paradosso è che i marosi che è costretta a fronteggiare non si devono a buchi o inefficienze nell’azione di governo: dalle case con vista Colosseo alle liste di Anemone, questioni ancora tutte da chiarire e che non riguardano solo alcuni esponenti del centrodestra ma chiamano in causa anche politici del centrosinistra.

Intanto c’è chi si esercita prospettando scenari più o meno prossimi se la legislatura non dovesse arrivare a scandenza naturale. Se chiedessimo di scommettere denari, oggi, sullo sfidante del Cavaliere – o del suo mitico erede – non pochi investirebbero sul nuovo padrone delle Puglie socialiste, Nicola Vendola detto Nichi.

E’ diventato tale l’ex signor nessuno di Rifondazione comunista, degno di nota ai tempi della segreteria di Bertinotti solo per qualche simposio pasoliniano, benché potesse essere archiviato sotto la voce “accidente” della storia amministrativa pugliese, dopo un quinquennio di clientele e voragini finanziarie. L’estate scorsa, peraltro, era uomo politicamente al crepuscolo quando fu costretto a licenziare, a causa dello scandalo sanità, mezza giunta per anticipare le mosse della Procura; tagliò la testa – bene ricordarlo – a cinque assessori, tra i quali il potente numero due Sandro Frisullo, pretoriano salentino di D’Alema.

E invece, colui che era destinato a dare solo una mano di rosso alle pareti di Puglia, quindi a scomparire nel cilindro da cui era uscito, oggi è il personaggio che scalda i motori per la definitiva consacrazione nazionale: non importa se non sarà candidato premier; non avrà vinto meno se si “limiterà” a sedere stabilmente ai tavoli romani chiamati a ridisegnare l’assetto del progressismo italiano. Per intanto, Vendola è il presidente che “si è preso” la regione e per meglio raggiungere l’obiettivo ha forgiato tutte le sinistre di Puglia – dal Pd alle estreme, dal Gargano alla Terra d’Otranto – a sua immagine e somiglianza: oltre al sottobosco di fedelissimi imboscati in ogni anfratto pubblico e semipubblico, ora ha modellato una giunta in cui non c’è vera resistenza alla sua aura messianica, forte di 126mila voti in più delle liste che lo sostenevano. Su 14 assessori, 4 più il presidente del Consiglio regionale vengono dalla sinistra radicale (tra Sel, Rifondazione e civica presidenziale); 3 “tecnici” (tra cui il responsabile della sanità, il confermato Tommaso Fiore) hanno il marchio vendoliano tatuato a fuoco e, soprattutto, larga parte degli assessori in quota Pd rispondono solo nominalmente al segretario regionale Sergio Blasi, avendoli Nichi scelti (confermati) tra i seguaci di marca franceschiniana o di area comunque ostile a D’Alema.

Vendola ha stoffa, ma il “fattore K” è centrale in tutte le cose della vita, anche in politica. Non sarebbe stato elevato a totem del riscatto sinistrorso se non avesse potuto contare sulla miopia politica di due personaggi che – mai ci avrebbe scommesso – dovrà ringraziare assai per essere diventato ciò che è: il D’Alema  che continua a disfare più di quanto fa, pur essendo accreditato ancora come fine facitore e interprete di scenari, e Raffaele Fitto, uscito di nuovo con le ossa rotte dalle regionali (dopo il primo manrovescio ricevuto da Vendola nel 2005) per aver voluto imporre il delfino Rocco Palese (amministratore diligente ma privo di appeal politico), pur consapevole che l’Udc non avrebbe digerito un nome su cui allinearsi a cose fatte.

Si è visto come è finita, con Adriana Poli Bortone candidata di Casini che – con 185mila voti, pari all’8,7% – ha dimostrato quanto suicida sia stata quella mossa. Ed è sui destini del centrodestra pugliese che ci si interroga. Su questo giornale è già stato ricostruito con puntualità quanto è successo in casa Pdl dopo la sconfitta elettorale evidenziando anche come il blocco del partito vicino al ministro degli Affari regionali non abbia fatto autocritica e aperto a chi non fosse allineato per riannodare i fili di un confronto – autentico – con tutte le componenti del partito. Nell’ultimo coordinamento regionale si è passati da documenti, voti e conteggi per dare l’immagine di un Pdl schierato in forze col ministro di Maglie.

Una cosa è certa: le condizioni perché si possa costruire una dialettica tra fittiani e quanti chiedono un “nuovo corso” devono essere molto diverse dall’attuale evidenza. Vendola si è preso la Puglia anche e soprattutto grazie a un’abilità rara nella tessitura di sogni e passioni. Scaltro fascinatore? Sicuramente. La politica però è fatta – anche quella dopo i muri di Berlino crollati – non solo di bilanci in ordine e di ospedali funzionanti. Questo è essenziale, ma se chi ha fatto bene e comunica male viene superato da chi ha fatto male e comunica (evoca, emoziona, partecipa) come un Oscar del comizio, a dover fare ammenda è chi non riesce a vendere bene la propria merce, concreta e ideale.

Cosa oppone il centrodestra pugliese al vendolismo trionfante? Quali progetti di ricostruzione del partito – di ampio respiro – intende mettere in campo? Come pensa di rimotivare elettori e militanti? Sedendosi per cinque anni o tre, se Vendola fuggirà a Roma? Rifacendo la traversata nel deserto per poi ripresentarsi alle urne con candidati di scuderia? Qualcosa per la verità si sta muovendo e in controtendenza rispetto al passato: è un segnale sul quale vale la pena di investire sperando che si trasformi in qualcosa di più concreto, ovvero in un rapporto vero di collaborazione con le tante risorse e intelligenze del partito che chiedono un cambio di passo per ricostruire e rilanciare il Pdl in Puglia. Non fosse così, tanti auguri: ci sono migliaia di elettori cattolici, liberali, postfascisti ansiosi di darsi alla filatelia.