Cosa abbiamo capito un anno dopo l’invasione russa dell’Ucraina
18 Febbraio 2023
Fra meno di una settimana sarà trascorso un anno dall’invasione russa dell’Ucraina. E allora forse è utile tornare indietro di qualche tempo e capire come siamo arrivati a questo punto. È il novembre 2013, il presidente russo Vladimir Putin ha costretto – de facto – il presidente ucraino Viktor Yanukovych a ritirarsi da un accordo commerciale con l’UE. In Ucraina scatta l’Euromaidan: centinaia di migliaia di persone, poi saranno più di un milione, si riversano nelle strade per protestare contro la sospensione dell’accordo di associazione tra l’Ucraina e l’UE.
Si va avanti per giorni. È un’escalation di violenza. Si intensificano le repressioni da parte della forze governative ucraine contro i manifestanti. La piazza reagisce. Violentemente. Gli scontri culminano nel febbraio dell’anno successivo con la fuga, in Russia, del presidente Yanukovych e la deposizione del governo Azarov. In Crimea parte la controffensiva: cominciano le prime proteste filorusse, poi arrivano i soldati. Russi. Senza insegne. Gli omini verdi, li chiamano. Prendono il controllo delle infrastrutture critiche e dei principali centri amministrativi nella regione. Arrivano i russi, quelli veri: con le bandiere sulle uniformi.
Il 16 marzo, dopo un referendum-farsa (il cui esito è contestato formalmente dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite) la Federazione Russa annette la Penisola di Crimea. È crisi internazionale. Partono le negoziazioni, tese. Cominciano le prime manovre diplomatiche: incerte. Emerge tutta l’imprevedibilità della politica internazionale. Un gioco nebuloso per abili professionisti. All’appello rispondono tutti: leader russi e ucraini al tavolo con i vertici dell’Unione Europea. In testa Jean-Claude Juncker e José Manuel Barroso.
L’impressione è che anche al più alto livello internazionale, forse specialmente in questi casi, la politica non è solo un gioco di buone maniere. Putin, ad esempio, si finge indignato delle “ingerenze” internazionali al fianco delle proteste europeiste in Ucraina. Sostiene che è come se il governo russo si fosse presentato in Grecia per sostenere le proteste euroscettiche del 2015. (E chi sa che gli omini senza bandiere, e all’epoca senza uniformi, non lo abbiano fatto).
Il paragone è evidentemente grottesco, ma il fatto che le contro-argomentazioni tendano a provenire “dai cattivi” a volte fa sembrare che manchino delle tessere nel mosaico. Nulla di più sbagliato. Del resto, in assenza di un dibattito serio, continuano anche oggi a filtrare osservazioni piuttosto imbarazzanti sulla invasione russa dell’Ucraina dagli stessi leader (?) che all’epoca manifestavano una certa indulgenza nei confronti del compagno Vladimir Putin. Consoliamoci, però. Siamo ed eravamo in buona compagnia: un’allora ancora capitale Europea ospitava felicemente numerosi loschi oligarchi ed affaristi russi.
La politica non è solo un gioco di buone maniere, si diceva. E gli interessi contrastanti dell’Unione Europea resero evidentemente impossibile elaborare un piano d’azione in risposta a quell’attacco dissennato al concetto stesso di Europa. Un passo indietro di vent’anni. O più. Un’amnesia, reale o presunta, di chi, forse, fingeva di aver dimenticato che almeno quella guerra l’aveva perduta. Chi sa che oggi, a dieci anni di distanza, e un anno dopo, non sia arrivato il momento di sederci attorno a un tavolo e capire che questa è la guerra della dignità. E che non sia, per la prima volta in questo secondo millennio, di nuovo arrivato il momento in cui, estirpato “quel male che si fa carne nel mondo” si possa costruire una nuova Europa. Forse, quella vera.