Cosa diavolo voteranno gli italiani al referendum sul nucleare?
01 Giugno 2011
Il mondo è pazzo. La Corte di Cassazione, chiamata a decidere se il referendum sul nucleare fosse stato superato dalla sfilza di abrogazioni contenute nella legge ‘Omnibus’, ha preso una posizione che sarebbe ingiusto definire pilatesca. Ponzio Pilato, infatti, se ne lavò le mani. La Cassazione, invece, le mani se le è sporcate.
L’antefatto è questo: dopo l’incidente alla centrale giapponese di Fukushima, il governo ha cancellato tutte le norme che avrebbero consentito, in prospettiva, il ritorno al nucleare (e, poiché le parole sono importanti, va sottolineato che l’avrebbero consentito, non obbligato, e che il target di produrre il 25 per cento della nostra elettricità con l’atomo è stato più volte enunciato nelle dichiarazioni di un ex ministro, ma mai formalizzato in alcun documento avente effetti concreti, e dunque non ha altro significato che quello di una promessa elettorale). A questo punto, la Corte doveva dire se ciò avrebbe fatto saltare la consultazione – poiché il suo obiettivo era già stato raggiunto in maniera inequivoca, come in effetti é – oppure se residuassero delle norme sulle quali il quesito sarebbe "migrato".
Vale la pena riportare integralmente il testo dei commi su cui, secondo la Corte, per rispetto della volontà degli elettori dovrà vertere il quesito:
Articolo 5 (Abrogazione di disposizioni relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari):
1. Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, mediante il supporto dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare.
(…)
8. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell’energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei Ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell’Unione europea e degli organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali.
In sostanza, il comma 1 è puramente dichiaratorio – dichiara la volontà di abbandonare il nucleare – e privo di conseguenze concrete. Votandone l’abrogazione, forse gli elettori direbbero all’esecutivo che deve ritornare sui suoi passi e riprendere l’atomo in considerazione? L’abolizione del comma 8 è ancora più paradossale: esso non fa altro che impegnare l’esecutivo a produrre una "strategia energetica nazionale", obbligo a cui peraltro è tenuto da norme precedenti, al punto che una delle maggiori accuse delle forze di opposizione in tema di politica energetica è proprio l’assenza di adeguata pianificazione. La Corte, in sostanza, pare aver anteposto il senso "politico" del referendum al suo contenuto concreto, e così facendo ha dato vita a una situazione alla "Alice nel Paese delle Meraviglie".
Gli elettori crederanno di votare sul nucleare (a proposito: sarà divertente vedere come dovrà essere riformulata la pubblicità istituzionale al quesito), quando invece voteranno contro il suo abbandono e contro l’adozione di una strategia energetica nazionale. A suo modo, la Cassazione ci ha tutti trasformati in liberisti inconsapevoli: quei pochi di noi che hanno ragionato sulla mutazione del quesito, però, sono consapevolmente basiti.