Cosa ha a che fare la libertà dell’individuo con l’impegno sociale?

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Cosa ha a che fare la libertà dell’individuo con l’impegno sociale?

25 Novembre 2007

In questo nuovo volume (La libertà
individuale come impegno sociale
, Laterza, Roma-Bari, 2007) Amartya Sen,
premio Nobel per l’economia nel 1998, si occupa di un tema classico sia per il
pensiero politico sia per l’economia: quello della libertà. E collega quel tema
con un problema altrettanto classico nelle due discipline appena evocate: in
che modo la libertà dell’individuo si coniuga con le condizioni sociali di
quello stesso individuo? La questione è sempre quella – frequentatissima –
della libertà negativa e positiva: libertà
da
e libertà di. La prima è la
libertà da impedimenti, la seconda è la possibilità di scegliere che cosa fare.
Ora, che cosa lega la libertà negativa a quella positiva? Come scrive bene
l’autore: “L’impegno sociale nei confronti della libertà individuale deve
riguardare entrambe le libertà,
positiva e negativa, insieme alle loro estese relazioni reciproche”. E’ la
questione che ci troviamo di fronte quando ci chiediamo, ad esempio,  se la povertà è un ostacolo alla libertà o,
reciprocamente, se la libertà pone nelle condizioni di non essere poveri. Sen
mostra con alcuni esempi ben scelti come la relazione fra le due libertà sia
reciproca e strettissima.

L’autore critica l’utilitarismo in quanto spiegazione dell’etica
sociale, come fa una parte della teoria politica contemporanea, e ragiona
invece sulla base dell’idea di libertà individuale. Confronta la sua concezione
con quella di John Rawls, che ha messo al centro della sua teoria della
giustizia la stessa idea di libertà individuale, insieme alla condivisione da
parte di tutti di tale libertà: ciò che piace a Sen di questa teoria è che essa
pone come priorità non la distribuzione di utilità ma la distribuzione di beni
primari (reddito, ricchezza, libertà, ecc.) che consentono di perseguire
liberamente i propri obiettivi. I beni primari sono mezzi per raggiungere la
libertà, non libertà vera e propria: gli esseri umani infatti se ne servono in
modo diverso a seconda delle loro caratteristiche personali. E’ opportuno
secondo questa ottica concentrarsi sugli effettivi modi di vita che le persone
scelgono di condurre, e sui vari aspetti di esse: da quelli elementari (come
nutrirsi ed essere in buona salute) a quelli più sofisticati (come l’autostima
o la felicità). Soprattutto, bisogna spostare l’attenzione dai beni primari e
dalle risorse alle possibilità di scelta: in questo modo la povertà in termini
di reddito può non coincidere con la mancanza di libertà, cioè può stare
insieme con una sufficiente capacità di compiere scelte che si ritengono
adeguate. E, reciprocamente, la ricchezza in termini di reddito può coincidere
con la incapacità di scegliere in modo opportuno per se stessi: ad esempio può
andare a braccetto con una mortalità precoce.

Dunque, secondo Sen il principio che deve stare alla base di tutti gli
altri è quello della libertà individuale, e tale principio deve essere inteso
come positiva libertà di scegliere che tipo di vita condurre. Questo va contro
l’utilitarismo, ma anche contro quello che l’autore definisce “libertarismo”,
il quale si concentra solo sulla libertà negativa. L’impegno sociale basato
sulla libertà individuale comprende invece sia la libertà negativa sia quella
positiva. Senza dimenticare i conflitti, che questa teoria ritiene non che
vadano eliminati ma piuttosto affrontati: quando tuttavia i conflitti superino
una certa misura mettono in pericolo tutto. Anche in questo caso, Sen fa
riferimento a una concezione allargata e alleggerita di interesse per trovare
la soluzione. Scrive: “Se è vero che gli individui, in realtà, perseguono
incessantemente e senza compromessi solo il loro ristretto interesse personale,
allora la ricerca della giustizia verrà intralciata a ogni passo
dall’opposizione di tutti coloro che abbiano qualcosa da perdere dal
cambiamento proposto. Se invece gli individui, come persone sociali, hanno
valori e obiettivi di più vasta portata, che includono la comprensione per gli
altri e un impegno verso norme etiche, allora la promozione della giustizia
sociale non dovrà necessariamente fronteggiare un’incessante opposizione a ogni
cambiamento.” Uomini e donne sono mossi dai loro interessi ma anche dalle loro
passioni, dalla preoccupazione per gli altri, dalle idee. La conclusione che si
può trarre da questo ragionamento è che non sarà certo facile trasformare le
disuguaglianze esistenti rispetto al godimento di libertà in una equità
generale, ma anche che la classica opposizione tra equità e conflitto di
interessi può essere affrontata con maggiore tranquillità: il conflitto di
interessi non pregiudica affatto la redistribuzione in senso più equo delle
libertà individuali. Quello che viene ridimensionato qui è un ruolo puro del
mercato, ovvero un ruolo del mercato inteso in modo assoluto. Ci chiediamo però
quanti dei sostenitori del mercato presenti e passati possano condividere una
concezione del mercato impoverita e isolata da tutto il resto, e spesso
costruita così dai critici più che da essi stessi.

Non so se l’autore accetterebbe questa interpretazione, ma le analogie
sono molte ed evidenti: si ha l’impressione che Sen faccia con Rawls quello che
John Stuart Mill fece nel saggio  Utilitarianism con Bentham. Allarga
l’idea di beni primari e la rende indipendente dai beni materiali, così come
Mill aveva allargato e diversificato l’idea di utilità. E proprio come Mill
faceva questa operazione per salvare l’impianto di base dell’utilitarismo, allo
stesso modo Sen opera nel senso appena descritto per salvare la teoria della
giustizia.