Cosa si diranno il 15 giugno il Cav. e Obama alla Casa Bianca?
02 Giugno 2009
Il 15 giugno alla Casa Bianca, a tre settimane di distanza circa dal G8 de L’Aquila presieduto dall’Italia, Obama e Berlusconi si guarderanno negli occhi. Sanno che il successo del G8 (e del successivo G20 programmato per settembre a Pittsburg) – e, quindi, il riassetto dell’economia mondiale – dipende in gran parte da quella che Richard Gardner (Ambasciatore a Roma negli Anni 70 e gran conoscitore dell’Italia anche perché coniugato con una veneziana) avrebbe chiamato “la strategia del dollaro e dell’euro”. In altri termini, una forte convergenza di vedute tra Stati Uniti ed Europa (che Berlusconi esprime sia nella veste di Presidente del G8 per il 2009 sia in quanto il Partito Popolare Europeo ha la maggioranza nel Parlamento dell’Ue ed è quello a cui appartiene il Presidente della Commissione Europea, José Manuel Durão Barroso).
In avanscoperta dell’incontro, oltre ai canali diplomatici ufficiali, Barack Obama ha inviato a Roma uno dei suoi consiglieri informali più fidati, Walter Russel Mead, Henry Kissinger Senior Fellow for US Foreign Policy del Council of Foreign Relations. Il 3 giugno alle 17,30, Walter Russel Mead si incontrerà con alcuni intellettuali ed economisti ad un seminario molto ristretto e a porte chiuse. La riunione non si terrà in uno dei tanti cenacoli contigui alla sinistra ma alla Fondazione Fare Futuro guidata dal Presidente della Camera, Gianfranco Fini. Russel Mead è uno specialista di politica estera. L’indicazione è eloquente: né Obama né Berlusconi hanno una particolare inclinazione per gli aspetti più spiccioli (per così dire) della “triste scienza” ma amano affrontare i grandi temi di politica economica internazionale. Non si parlerà quindi di Fiat, Chrysler e Opel (Obama sa il “canadese” Marchionne gli ha fatto un favore togliendogli parte di una patata bollente ma tanto lui quando i suoi consiglieri sono convinti di non avere neanche adombrato un corrispettivo in termini di scampoli della GM in Europa o altrove). Si discuteranno invece alcuni dei temi affrontati da economisti anche americani (e pure vicini alla Casa Bianca) nei giorni scorsi al Festival dell’Economia a Trento.
In primo luogo, la minaccia del protezionismo. Obama ha vinto le elezioni con un programma elettorale protezionista ha scelto Ron Kirk come U.S. Trade Representative (Ministro del Commercio con l’Estero, incarico che comporta di fare parte del Gabinetto ristretto dell’Esecutivo Usa). Sin dal suo primo discorso – dal 3 giugno Kirk è a negoziare a San Pietroburgo – , “Ron” ha mostrato come intenda dimostrare che la liberalizzazione del commercio è nell’interesse non solo dell’economia mondiale ma anche delle imprese e dei lavoratori americani. Berlusconi sa che da decenni la crescita dell’Europa (non solamente dell’Italia) dipende dall’export: in termini di contrazione del pil, la recessione attuale morde di più nel Vecchio Continente che oltre oceano proprio a ragione del tracollo del commercio mondiale (- 9% nel 2009). L’Europa (e l’Italia), quindi, rischierebbero di essere tra le più penalizzate da una nuova ondata protezionista. Occorre, dunque, che la strategia del dollaro e dell’euro indichi una via d’uscita. Una possibilità è sospender il di fatto arenato negoziato Doha Development Agenda (Dda) in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) ed iniziare trattative tra grande aree commerciali (Ue-Nafta). In parallelo, l’Europa dovrebbe riconvertire il proprio percorso di crescita (dall’export alla domanda interna anche in nuovi settori come i servizi alla persona e l’ambiente) con gli adeguamenti corrispettivi dal lato dell’offerta. A guardare bene si tratterebbe di uno nuovo “accordo del Plaza” con molti punti in comune con quello di circa trenta anni fa.
L’altro punto centrale sono i “global standard” molto cari all’Europa in generale ed all’Italia in particolare (anche a ragione del lavoro fatto in questa direzione dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti). Sulla scrivania di Obama pare ci sia da un paio di settimane la bozza del lavoro di due giuristi specializzati in questo campo, Luciana A. Bebchuck dell’Università di Harvard e Assaf Habdami della Università Ebrea di Gerusalemme. Il saggio, programmato per il prossimo numero della University of Pennsylvania Law Review, contiene una dura critica (anche sulla base di esperienze concrete) all’approccio stesso dei “global standard” (ed alla loro applicabilità). Ha anche una controproposta dettagliata: direttive settoriali in materia di “governance” per aziende (pure bancarie e finanziarie) a seconda che abbiamo o non abbiano un’azionista di riferimento. E’ materia tecnica su cui certo non si in trarranno Obama e Berlusconi. Ambedue, però, vogliono giungere ad un compromesso prima del G8.