Cosa si nasconde dietro la lotta al precariato

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Cosa si nasconde dietro la lotta al precariato

Cosa si nasconde dietro la lotta al precariato

22 Agosto 2007

La battaglia per l’abolizione del “precariato” è combattuta con spudoratezza da coloro che contano soprattutto sul contenuto emotivo del messaggio non curanti della frode ad esso associata. A sinistra (in particolare nella banda dei quattro) non c’è parlamentare che non denunci l’inaccettabilità dei contratti di lavoro a termine. Non conta se il termine sia un anno o più anni. L’obiettivo è il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Questo vuole essere un contratto che, una volta conquistato, consente al lavoratore di arrivare tranquillo fino all’età della pensione.

Questi contratti sono, per loro natura, stipulati tra un datore di lavoro e un lavoratore. Il lavoratore aspira a un posto sicuro, cioè duraturo. Il datore di lavoro intraprende e rischia sul mercato. Quando ha successo, la sua propensione al rischio crea ricchezza e posti di lavoro. Quando i suoi prodotti o servizi non hanno successo, l’imprenditore deve cambiare strategia di produzione ristrutturando la sua attività o, nel peggiore dei casi, ponendo termine ad essa; in quest’ultimo caso con la fine dell’attività economica dell’imprenditore scompaiono anche i connessi posti di lavoro.
Nelle statistiche gli occupati si distinguono in “autonomi” e “dipendenti”. I primi sono gli imprenditori e i secondi gli aspiranti a un posto di lavoro, preferibilmente fisso. Nella tabella che segue è riportata la percentuale dei lavoratori dipendenti in alcuni settori dell’economia italiana. Si nota che in Agricoltura e nel Commercio si ha un rapporto di circa un lavoratore autonomo e uno dipendente; nella metallurgia gli occupati dipendenti sono circa il 96 per cento; nei servizi generali della Pubblica Amministrazione sono presenti solo lavoratori dipendenti.

Significativamente, nelle statistiche economiche si distinguono i beni e servizi destinabili alla vendita da quelli “non” destinabili alla vendita. Si tratta di un eufemismo per dire che ci sono settori in cui si può fallire e quelli in cui tale evento non è contemplato. Nei primi non c’è contratto di lavoro a tempo indeterminato che protegga i lavoratori dal perdere il posto di lavoro. Nei secondi, cioè nella PA (Amministrazione centrale dello Stato, Regioni, Province, Comuni e tutti gli enti connessi) il posto di lavoro è veramente a tempo indeterminato e protetto al punto tale che neanche i “fannulloni” segnalati dal professor Pietro Ichino rischiano di perderlo.

Percentuale dei lavoratori dipendenti sugli occupati totali

Settori

 

Agricoltura, silvicoltura e pesca

53,8

Industria in senso stretto

84,7

Industria del legno e dei prodotti in legno

63,6

Metallurgia

95,9

Costruzioni

67,1

 

Commercio al dettaglio,

51,9

 

Ristoranti, bar e mense

63,1

 

Servizi generali della Pubblica Amministrazione (PA)

100,0

 

Fonte: nostra elaborazione su dati Istat

 

 

La tabella successiva mostra che la lotta al precariato ha un lunga storia nel nostro Paese. Gli occupati della PA nel 1970 erano il 18,2 per cento del totale; cioè, l’80 per cento dei lavoratori autonomi e dipendenti del settore privato erano chiamati a mantenere il 20 per cento di quelli con il posto sicuro. Dal 1970 ad oggi gli occupati della PA sono cresciuti fino a rappresentare il 28,6 per cento degli occupati. Nel 1970 erano 3,360 milioni, nel 2006 sono 6,345 milioni, quasi raddoppiati. Oggi poco più di due lavoratori del settore privato devono “mantenere” un lavoratore del settore pubblico. Come questo è stato possibile? Fondamentalmente in due modi. Da un lato, inventando nuovi enti pubblici (nel 1970, ad esempio, le Comunità montane non esistevano); dall’altro inventando i “precari” da stabilizzare successivamente con lotte sindacali “farsa”, così come si sta provando ancora oggi con i precari veri o presunti che orbitano nelle amministrazioni pubbliche.

Le conseguenze delle vittorie sindacali passate per stabilizzare i precari si riverberano inevitabilmente nella pressione fiscale. Se nel 1970 quattro lavoratori del settore privato ne dovevano mantenere poco più di uno della PA, ora sono in tre chiamati a mantenerne due. Come se non bastasse, molti parlamentari della sinistra annunciano battaglia per nuove assunzioni nella PA.
Ispezionando i settori dell’economia dove prevalgono i lavoratori autonomi, si individua facilmente dove si abbatterà ancora più feroce la mannaia fiscale. Non saranno necessariamente quelli dove si concentrano le forze sociali che sostengono la Casa delle Libertà, ma semplicemente laddove si devono fare i conti con il mercato.
I Ferrero, i Salvi, i Diliberto operano soprattutto per statalizzare il mondo degli occupati, una procedura di ripiego per la sovietizzazione della nostra economia.

Composizione percentuale dell’occupazione tra i macrosettori dell’economia italiana

 

Anni

 

1970

1980

1990

2006

             Macrosettori

 

 

 

 

Agricoltura, silvicoltura e pesca

20,1

13,4

7,5

4,1

Industria in senso stretto

28,5

30,1

25,7

20,9

Costruzioni

9,9

8,0

6,7

7,5

Commercio

19,7

22,2

24,6

24,4

Intermediazione monetaria e finanziaria

3,6

5,0

9,3

14,5

Altri servizi e PA

18,2

21,4

26,3

28,6

     Totale

100,0

100,0

100,0

100,0