Così difendo il principio, non la Quercia

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Così difendo il principio, non la Quercia

30 Luglio 2007

Caro Direttore, capisco le sue ragioni. Gli ex-comunisti sembrano finalmente all’angolo. Se si oppongono all’utilizzo delle intercettazioni, entrano in conflitto con tutta la loro storia dal 1992 in poi; se acconsentono si mettono nelle mani della magistratura correndo il rischio di restarne stritolati. È perciò comprensibile che si chieda all’opposizione, e in particolare al suo capo Silvio Berlusconi, di affondare il colpo senza riguardi. Abbiamo tutti immaginato, del resto, almeno per un attimo, il Paese tappezzato di poster giganti con scritto: «Abbiamo una banca», o: «Sono il compagno Ricucci», o ancora: «Consorte facci sognare».

A questa sua richiesta – immagino condivisa da tanti lettori e da tanti elettori di Forza Italia – non contrapporrò una coerenza astratta né un garantismo formale. E neppure la contestazione di presunte scorrettezze del giudice Clementina Forleo che, sia detto per inciso, mi sono apparse assai più lievi di quelle poste in atto da tanti suoi colleghi nel passato anche recente. Farò piuttosto riferimento a qualcosa che viene prima di tutto ciò, che fa parte del dna di Forza Italia e che, per questo, a me pare robustamente politico. Mi riferisco a due ordini di principi classificati come «parlamentarismo» e «Stato di diritto».
I primi impongono che un certo grado d’immunità sia garantito ai rappresentanti del popolo, per proteggerli da possibili invadenze indebite degli altri poteri e, in particolare, del potere giudiziario. Si può fare a meno della democrazia parlamentare. Ma finché essa vige è necessario che i rappresentanti della volontà popolare godano di alcune protezioni: non certo per privilegio di casta, ma perché esse sono garanzia della libertà di tutti.
Per quanto concerne lo Stato di diritto, la sua salute va considerata in relazione al momento storico. Fermiamoci a ciò che è più prossimo al nostro argomento. L’Italia ha il triste record delle intercettazioni telefoniche. Queste giungono ormai ai giornali (che giustamente le pubblicano) con mesi d’anticipo rispetto al loro arrivo nelle sedi istituzionali che dovrebbero autorizzarne la diffusione corredate spesso con le utenze private degli intercettati, parlamentari e non. I teleobiettivi sono ormai entrati nelle private abitazioni. Ed è facile profezia che ben presto la lotta politica passerà persino per i buchi della serratura.

Tutto ciò non ha nulla a che fare con la nobiltà della politica, con i principi e i valori che giustificano un impegno. È necessario mettere un freno perché, se questi costumi dilagassero, ben presto essi invaderebbero anche la vita dei cittadini comuni. C’è già chi aspira a controllare i conti bancari e ogni lira spesa. Cerchiamo di salvare, per tutti, almeno quel poco di riservatezza nella vita privata di cui ancora si gode.

Signor direttore, io ritengo che questi principi vengano prima d’ogni scelta d’opportunità politica. E che il loro combinato disposto imponga, da avversari, di dire no all’utilizzo delle intercettazioni telefoniche contro D’Alema, Fassino e Latorre. Non si tratta né di assolvere e neppure di fare sconti. In Italia è ormai invalsa l’abitudine di far coincidere il giudizio politico con il giudizio penale per cui, anche di recente, sono stati accreditati come grandi statisti uomini politici per il solo fatto d’essere stati assolti da accuse ingiuste. Per questo oggi, proporsi di contestare i vertici Ds senza scadere nel giustizialismo, significa rivendicare autonomia per la politica.

È più di una scelta di coerenza: è una scelta di principio che, ne sono convinto, sul lungo periodo sarà premiata. Veda come si sono ridotti i Ds: contestano alcune espressioni del gip Forleo dimenticando il loro silenzio quando un magistrato osò affermare «Io quello lo sfascio». Chiedono alla stampa di tacere e hanno scordato il «Forza Ilda» sulla copertina dell’Espresso del 30 maggio 1996. Gettano un velo sul loro ignobile comportamento nei confronti di Bettino Craxi ma si affannano a partecipare a sue commemorazioni e persino a intestargli piazze e strade.

Questa schizofrenia nasce, appunto, dalla riduzione dei propri principi a mero strumento di lotta politica. Chi i principi, invece, li ha ben chiari, deve essere disponibile ad applicarli sempre e comunque. E in virtù di questa forza può permettersi di distinguere tra impegni istituzionali e giudizio politico. Può evitare il giustizialismo e, contemporaneamente, chiedere alla libera stampa di fare il proprio dovere. E non correrà mai il rischio di dover intitolare un giorno, per un malinteso senso di colpa, una strada a D’Alema o Fassino.

 

© Il Giornale del 29 luglio 2007