Cosmopolis è un film pessimista e un po’ noioso sulla fine del mondo

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Cosmopolis è un film pessimista e un po’ noioso sulla fine del mondo

27 Maggio 2012

Come sarà il mondo dopo la crisi? Guardando il nuovo film di David Cronenberg “Cosmopolis”, c’è poco da stare allegri. Quasi l’intero racconto si svolge in una limousine bianca. A Manhattan la febbre è alta. Indignati o anarchici, o indignati e anarchici insieme, protestano per lo sconquasso economico e sociale. Protestano, fanno baccano, scandiscono slogan minacciosi, dipingono le macchine bianche immacolate dei ricchi. Gettano topi morti nei ristoranti, si travestono da topi.

Un giovane miliardario, Erick Parker (Robert Pattinson, l’eroe della saga di “Twilight”), genio della finanzia e cinico speculatore privo di scrupoli, all’improvviso decide di tagliarsi i capelli da un barbiere dove lo portava il padre da bambino, nella periferia della città. Ma non solo è pericoloso muoversi, come gli comunicano le guardie del corpo, che sorvegliano perennemente la sua limousine. È quasi impossibile, poiché il traffico è congestionato e ci si muove a passo d’uomo. A complicare la giornata ci si è messo l’arrivo in città del presidente degli Stati Uniti e il funerale di un cantante di culto, morto improvvisamente per un attacco di cuore. Allora tutto deve avvenire nel lusso confortevole dell’auto, grande quanto una casa. Chiacchiere di routine, riflessioni sul presente e sull’avvenire, bevute, incontri sessuali, visite per verificare lo stato di salute della prostata di Erik, comunicazioni commoventi sulla morte del rapper, divagazioni sul prezzo di una tela di Rothko.

Qualcuno ha preso di mira il giovane emblema della ricchezza e della finanza, sposato con una miliardaria che non ama. Vuole colpirlo a morte. La giornata trascorre così, tra stranezze, assurdità, contestazioni, caos, sensi di colpa, parole in libertà. Nella notte il pericolo si manifesterà. Un uomo, ex dipendente di Erik, da tempo lo bracca e finalmente lo ha a portata di tiro.

Il mondo del futuro prossimo venturo (o del presente, visto che non siamo in una città del futuro, ma nel cuore malato dell’Occidente attuale) nella visione di Cronenberg è oscuro. Privo di luce. Per vivere bene occorre ripararsi dal mondo, proteggersi costantemente dal rumore e dalle intemperie esterne e, soprattutto, dagli esseri umani, fastidiosi ratti. Ma non è detto che le pesanti cortine protettive si rivelino sufficienti. Le ragioni dell’esistenza sono scomparse. Si è in attesa del collasso finale: un asteroide, una catastrofe nucleare, una pioggia biblica, una guerra, un’epidemia, una rivoluzione, lo sconquasso dei mercati, o qualcosa’altro, verrà finalmente a liberare gli umani dalla vita. Il mondo attorno a noi è già morto. Nell’approssimarsi del disastro si vive ancora come un tempo, in un limbo, poiché il futuro non esiste. C’è soltanto il vuoto.

Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore postmoderno americano Don DeLillo, “Cosmopolis” è un monumento alla noia, un film perfettamente sbagliato di un autore, David Cronenberg, che in passato ha realizzato opere di eccezionale qualità. Che il mondo sia messo male, non ci sono dubbi. Ma le ragioni della decadenza non emergono. L’uomo è marcio, che si tratti di un ricco o un povero. Di un agente della sicurezza o di un lanciatore di torte in faccia ai potenti del pianeta. Di un vecchio barbiere o di una poetessa. La notte oscura è calata, e il suo epicentro si trova nella modernissima Wall Street. E allora? Verrà giù tutto? Bene. Meglio che venga giù in un kolossal catastrofista tipo “2012” (l’anno dei Maya) che tra le chiacchiere soporifere, rubate alle pagine di DeLillo (e sarebbe stato meglio che lì fossero rimaste), in un’antica libreria, fra testi preziosi e legni pregiati. Almeno il ritmo non manca e le esplosioni dell’Apocalisse sono più vere del vero.