Costi economici e costi politici di una crisi che di certo non è solo italiana

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Costi economici e costi politici di una crisi che di certo non è solo italiana

14 Novembre 2011

Un paio di settimane fa il columnist della pagina economica del Times scriveva che la crisi finanziaria italiana si sarebbe potuta giovare della decisione della banca di Inghilterra: un aumento della massa monetaria circolante, al costo di qualche decimale al massimo un punto di inflazione. Stando ai dati, sarebbe stato più che sopportabile e per un verso finanche augurabile per il nostro sistema produttivo. Peccato -aggiungeva il columnist- la Germania veda come il fumo negli occhi l’ipotesi tanto da essersi lamentata addirittura con lo Scacchiere di Sua Maestà per la scelta.

Ben Bernanke ha sentenziato giorni fa la gravità della crisi USA e affermato che la priorità della politica economica americana deve essere la disoccupazione ormai all’ 8.5% con punte del 12 nel settore degli ex militari in IRAQ. Gli indici della disoccupazione media italiana è oggi pari a circa l’8 % con una differenza tra nord e sud di circa il doppio.

L’istituto di credito MPS nella sua trimestrale ha evidenziato investimenti in bond per circa 38,5 m.di di euro dei quali 25 m.di (65 / 70 %) in bond italiani.

Da quanto sopra potremmo dedurne primo: l’Italia è in crisi e merita il primo posto tra gli ultimi della classe ma certo non è stata finora particolarmente sostenuta. Anzi la sua crisi appare talvolta utile schermo di magagne altrui. Secondo: la crisi investe in pieno il sistema industriale eppure la disoccupazione non è esplosa e si mantiene su livelli fisiologici non come qualcuno vaticinava e forse si augurava. Terzo: forse il debito pubblico dell’Italia appartiene agli italiani per più del dichiarato 40%.

E veniamo alla terapia politica da somministrarsi all’Italia intra moenia.

La nomina di Monti a senatore a vita irrituale nella forma è un atto politico coraggioso che va apprezzato, non ultimo per la scelta del nominato. E’ probabile che già oggi il prof Monti scioglierà la riserva sul suo incarico di formare il Governo e si presenterà alle Camere martedì e mercoledì. Se questo timetable sarà rispettato i mercati di certo apprezzeranno o comunque la speculazione avrà gioco difficile ad organizzarsi. Chiamatesi fuori l’ IDV (o la sua ala pura e dura) e la Lega (che neppure appare granitica) e con un PD in ambasce crescenti per paura di rottura della sua costola sindacale e della rivincita che i suoi ex DC pregustano nei confronti di Berlusconi e non solo, il peso della scelta peserà soprattutto sul centrodestra.

La decisione di appoggiare il governo Monti per amor di Patria e responsabilità verso i cittadini potrebbe infatti costare l’unità del partito. Gli ex AN e molti dei parlamentari ex Forza Italia, ancorché critici per la mancata apertura al Centro, non digeriscono il “tradimento” dell’impegno di ricorrere alle urne in caso di crisi della maggioranza uscita dalle elezioni del 2008 e ritengono eccessivo l’abbandono dell’alleanza con la Lega quale prezzo per avviare la collaborazione con il Centro, che dalle elezioni è uscito sconfitto anche se non macerato. C’è poi la riluttanza della convivenza forzata con il PD che, potrà sembrar strano, evoca però meno tensione di quanto non potrebbe: Bersani viene considerato già rottamato da D’Alema più che da Renzi che sembra interessato a rottamare il partito. Perché a interpretare la Bindi e qualcun altro pasdaran sembra che il Governo Monti sia proprio nel cuore di D’Alema. Ma forse sono chiacchiere da caffè.

Comunque: il PDL non dovrà solo scegliere se sacrificare il suo credo “nelle” elezioni bensì sacrificare l’alleanza strategica che gli ha consentito di vincere le elezioni che ha vinto e la cui denuncia gli ha fatto perdere quelle che ha perso. Ma c’è di più: il sacrificio sarebbe infatti accompagnato da uno schiaffo in faccia agli ex alleati perché compiuto per collaborare con il partito che ha votato contro il federalismo (evento che Bossi rammenta una volta sì e l’altra pure). Eppure tutto questo, nonostante gli sconquassi che ne potrebbero derivare, sarebbe un rischio doveroso da affrontare perché l’alternativa è il default del Paese.

C’è però un ulteriore considerazione emersa sottovoce nel corso di una della tante riunioni dei gruppi politici in cui si articola il PDL dopo l’ascesa di Alfano alla segreteria: verso quale forma di sistema politico condurrà la scelta di dare vita a un governo di salvezza, di unità nazionale, di responsabili se i partiti, di maggioranza e opposizione, saranno costretti a spezzarsi per dar vita a una collaborazione che vedrà il Centro protagonista indiscusso e ago della bilancia? Resisterà il bipolarismo o piuttosto esploderà nel polimorfismo partitico che alle prossime elezioni si pascerà dello strapotere attribuito alle segreterie politiche dall’attuale legge elettorale?

Certo Monti, incaricato di formare il Governo e presentatosi alle Camere potrebbe ottenere la fiducia magari in una sola della due, così costringendoci alle elezioni e consentendo di adottare molte decisioni impopolari adottando, nel corso del disbrigo degli affari correnti, i regolamenti attuativi di innumerevoli leggi già approvate. Ma sarebbe una scelta kamikaze di fronte alla quale non vanno lesinati gli sforzi per la ricerca di una quadratura del cerchio, impossibile certo ma comunque perseguibile con la riduzione della lunghezza dei lati del poligono inscritto nella circonferenza.