Covid, un’isteria regolatoria per non dire la verità: che la libertà è tutto, ma è un valore collettivo
25 Gennaio 2022
La pandemia da Covid – con la sua portata globale ed emergenziale – ha scosso gli Stati dalle fondamenta, lasciandoli, come dopo una rivoluzione, nudi e indifesi.
In tutto l’Occidente la politica ha reagito con il proverbiale catenaccio. Si è schierata a difesa dello status quo, tappando le falle dei sistemi sanitari, elargendo bonus perlopiù esoterici, sovvenzionando interi settori dell’economia e inserendo obblighi, regole e divieti fino a raggiungere livelli parossistici.
Un atteggiamento difensivista è comprensibile, tuttavia il dilagare di questa attitudine paternalistica è allarmante. Gli Stati occidentali rischiano di smantellare la propria anima liberale a colpi di assistenzialismo, trasformando le istituzioni da garanti della libertà a dispensatori di assistenza, sostituendo allo Stato di diritto una prassi regolatoria soffocante.
Si pensi al tema dell’obbligo vaccinale.
Lo scarso coraggio politico che ha precluso una decisione netta a favore dell’obbligo, ha spalancato la porta all’isteria precettistica che sforna quotidianamente restrizioni, regole ed eccezioni. Tale furia regolatoria è come benzina sul fuoco delle faglie sociali: i parrucchieri no, i tabaccai si, i cinema si, gli stadi no, gli over 50 debbono vaccinarsi, gli under 50 possono tamponarsi, i professori e i sanitari hanno l’obbligo ma gli imprenditori e i commercialisti no… In questo modo il dibattito pubblico si scioglie in un intestino di opinioni sciatte alimentate dalla frustrazione e dalla rabbia, indebolisce il valore del sacrificio per il prossimo che è alla base del vivere collettivo. E con l’affievolirsi della capacità di vivere insieme, di arrivare ad un compromesso, di decidere per il bene collettivo, si indebolisce gravemente la libertà individuale.
La libertà non è mai a somma zero, non esiste un concetto assoluto di libertà à la “posso fare ciò che voglio”. La mia libertà, per essere piena, non deve limitare la libertà del prossimo.
Ed è su questo concetto che si fonda lo Stato liberale. La rincorsa alla libertà individuale assoluta, che tanto piace agli intellettuali da salotto, produce disuguaglianza e la conseguente necessità di compensare la libertà sottratta per mantenere l’ordine sociale. Lo Stato paternalistico è questo: protettore indefesso delle bizzarrie individuali, ruba pezzi di libertà e clientelizza i propri cittadini a suon di divieti, obblighi, bonus e prebende. Così lo Stato, come fosse un bancomat, dispensa la sua libertà burocratica e incivile, privando il cittadino dell’iniziativa e dell’indipendenza, rubandogli la libertà.
Per evitare questa pericolosa deriva è necessario che la politica abbia visione e coraggio: le élite devono tornare a decidere perché, è vero, la libertà è tutto, ma è un valore collettivo.