Cuba, l’opposizione interna cresce ma ancora non riempe le piazze

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Cuba, l’opposizione interna cresce ma ancora non riempe le piazze

26 Marzo 2011

Il cambio politico che sta avvenendo in alcuni paesi nordafricani è stato dettato da due fattori specifici: la presa di coscienza dei giovani e il ruolo catalizzante di internet. Sono loro, i giovani e il web, i protagonisti di queste rivoluzioni, in corso e auspicate. Twit, messaggi, post, foto e video condivisi sui più disparati social network, blog e forum. Tutto passa dalla community di internet. Quel popolo in piazza, che chiede a gran voce democrazia e diritti umani. Due realtà inscindibili: è nel primo che si trovano le garanzie politiche per la salvaguardia ed applicazione dei secondi, soprattutto del diritto di libertà di coscienza e pensiero. Anche i cubani lo sperano per se stessi: che nella loro amata isola si assista a quel tanto (troppo a lungo) atteso cambio politico, un’inversione verso la democrazia.

Consapevole che una simile “onda sociale” potrebbe avere effetti devastanti per la preservazione del regime, il castro-comunismo ha deciso di non subire gli eventi, ma di controllarli. Di qui, due scelte fondamentali: da una parte l’aver messo apparentemente a disposizione di tutti i cubani l’accesso ad internet; dall’altro, il rafforzamento del controllo e presenza statale nel web. Il maggiore timore dell’entourage dei Castro, come emerso in un video diffuso in questi giorni su internet, è che il cyberworld possa rivelarsi un cavallo di Troia per il regime. Il video in questione, pur risalendo al giugno 2010, rivela una strutturale debolezza del regime, oggi ancor più evidente, alla luce delle rivolte che hanno portato allo spodestamento di despota, come Mubarak o Ben Alì. La libertà di cui è ontologicamente pervaso il web, inoltre, potrebbe generare delle crepe nel monopolio informatico de la Havana e far filtrare al di là dei confini cubani informazioni finoggi tenute nascoste.

Il castrismo è chiuso in una roccaforte di silenzi, di informazioni distorte, di propaganda quotidiana, per dimostrare di essere quello che in realtà non è: una democrazia. Il suo vero volto è quello di uno stato di polizia, che non smette di essere tale a dispetto delle aperture registrate negli ultimi mesi: la liberazione di molti prigionieri di coscienza, tra cui Óscar Elías Biscet; l’installazione della banda larga from Caracas, che oggi dovrebbe consentire internet gratuito in tutta l’isola; la riforma del settore privato, che ha comportato il licenziamento di più di 500 mila cubani (prima impiegati pubblici, oggi imprenditori di se stessi, lasciati allo sbando). Tutto ciò è il riflesso di quella demagogia di cui si nutre il regime cubano, fondato sulle regole del Socialismo reale, ormai conscio del proprio imminente epilogo. Intrappolato tra desiderio di preservazione e timore della modernità e cambiamento, il regime dei fratelli Castro tenta faticosamente di dare lustro a un’immagine, ormai desueta ed anacronistica.

Per riuscire a spiegare fino a che punto i movimenti nell’Africa settentrionale ed in Medio Oriente stiano o meno avendo degli effetti sui cubani bisogna rivolgersi alla blogosfera, dove i protagonisti sono due: Fidel e tutti gli altri. Il leader maximo infiamma da tempo il web con le proprie parole e dictat, grazie al controllo (quasi totale) dei mezzi di comunicazione nell’isola. Un esempio su tutti è Granma, quotidiano cubano online in cui giornalmente (e in ben cinque lingue, escluso lo spagnolo) vengono divulgate le reflexiones di Castro. Gli avvenimenti in Tunisia, Egitto ed oggi Libia, prima passati in sordina nelle emittenti radio-televisive di Stato, oggi non possono essere più nascosti sotto la sabbia: Castro non poteva esimersi dal parlarne, analizzarle e trovare (ovviamente) una sua chiave di lettura, del tutto orientata al socialismo e antiamericanismo. Applicando a pieno la regola de “un colpo al cerchio e uno alla botte”, Fidel sostiene apertamente le ragioni dei popoli (africani) oppressi da antichi regimi – una scelta necessaria viste le ragioni che spinsero i cubani a ribellarsi illo tempore al regime filoamericano di Batista, compiendo La Revolución. Dall’altro, taccia i suoi omologhi non di essere dittatori, ma filoamericani, succubi servi dell’Occidente, e per questo meritevoli di decadere. Ecco l’interpretazione (palesemente forzata) che Castro dà degli avvenimenti nordafricani.

Se da una parte riecheggia la voce di Fidel, dall’altra ecco le parole scritte dai bloggers, fuori e dentro l’isola, che hanno fatto dell’informazione la loro arma di battaglia. Yoani Sanchéz, con il suo blog Generación Y, descrive la Cuba di oggi e quella che (si augura) sarà domani. Poi loro, quelli che sono emigrati, costretti all’esilio, come Regina Coyula, ex funzionaria del partito, e Dagoberto Valdes, direttore della rivista Convivencia. Anche facebook gioca un ruolo importante nell’organizzazione dell’opposizione al castrismo: “Por el levantamiento popular en Cuba” conta più di 5mila iscritti, una pagina dedicata allo sharing di video e informazioni che spingono a una presa di coscienza collettiva di tutti i cubani (e non solo). Il regime definisce lo scontro tra il governo centrale cubano e i bloggers anticastristi come cyberenfrentamiento, scontro virtuale per esigenze politiche reali.

L’opposizione dentro e fuori Cuba incontra grandi difficoltà a organizzarsi e strutturarsi. I giovani, in particolare gli studenti, sembrano saturi di più di cinquant’anni di regime dittatoriale comunista, ma nondimeno non riescono a predisporre un gruppo compatto d’opposizione. A Cuba sussistono tutte le condizioni perché si dia vita a una protesta che parta dal basso: la privazione delle libertà fondamentali, i soprusi e vessazioni della dittatura, la povertà dilagante costituiscono un terreno fertile perché ciò accada. Due fattori, però, sembrano ostacolare questo processo: da un canto il folto gruppo di esuli che, sebbene operino costantemente per un cambio politico, sono impossibilitati dalla distanza geografica perché ciò accada; dall’altro, un vassallaggio psicologico in cui vivono i cubani dentro l’isola, una paralisi mentale che gli impedisce di alzare a pieno la propria voce contro il dittatore Fidel. Molti si chiedono se Cuba vedrà sorgere lo stesso movimento popolare che si è propagato nell’Africa settentrionale. I dubbi sono molti, le difficoltà strutturali numerose. Ci si auspica, però, che, seppur lentamente, chi vive nell’isola caraibica abbia la forza (e il reale desiderio politico) perché il cambio possa avvenire.