Da bipolarista dico sì al governo tecnico ma con un’alleanza Pdl-Pd

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Da bipolarista dico sì al governo tecnico ma con un’alleanza Pdl-Pd

10 Novembre 2011

Governo tecnico o voto? Per un bipolarista, “maggioritarista” impenitente la risposta sembra scontata. Eppure, una componente essenziale dell’intelligenza sta proprio nella capacità di analizzare puntualmente i dati di fatto e nell’adattare le proprie convinzioni teoriche alle situazioni concrete che dobbiamo affrontare. Ed ecco allora perché oggi la strada del governo tecnico ci sembra la soluzione migliore o quantomeno la meno peggiore.

Vi è, in primo luogo, da considerare la tempesta finanziaria che si addensa sui nostri destini. Un dato incontestabile ed un nodo ineludibile per una qualsiasi analisi politica degna di tal nome. Qui non si tratta di disquisire astrattamente sui meccanismi della democrazia (la legittimazione del governo non può che derivare dal voto), né di baloccarsi sul fatto che i mercati alla fin fine temono soprattutto le incertezze e che solo il voto popolare può fare veramente chiarezza sugli orientamenti politici di un Paese. Questo potrà essere vero in circostanze normali. In situazioni eccezionali occorre che il pensiero vada oltre. E’ innegabile che in questa precisa fase storica tre mesi di dura e velenosa campagna elettorale, resa ancora più aspra dall’assoluta incertezza sugli equilibri politici del dopo voto, porterebbero alle stelle le fibrillazioni del mercato finanziario, rendendo del tutto impossibile il raggiungimento di quel faticoso traguardo del pareggio del bilancio che rappresenta un passaggio essenziale per l’Italia.

Occorre poi non nascondersi dietro il dito. Al netto di tutte le aggressioni giudiziarie, al netto di tutta la demagogia che da anni campeggia su giornali e televisioni, al netto delle feroci resistenze corporative e sindacali, dobbiamo riconoscere che l’attuale quadro politico non riesce ad esprimere un tasso di riformismo ed una capacità decisionale all’altezza delle necessità dei tempi. Certo, se volgiamo lo sguardo agli ultimi sciagurati anni della prima Repubblica, quella attuale ci sembra popolata da giganti. In questi vent’anni, bene o male, l’Italia ha abbattuto il proprio deficit di bilancio (che nel 1993 viaggiava ad oltre il 10%) ha riformato per due o tre volte il proprio sistema pensionistico, ha modernizzato il proprio mercato del lavoro ha aggiornato la propria costituzione e (soprattutto) le proprie prassi costituzionali. Ma nonostante il lavoro fatto rimane un forte sentore di incompiutezza e di parzialità degli interventi realizzati. Un’incompiutezza della quale si sono alla fine accorti i mercati e che quindi è oggi assolutamente insostenibile e che forse solo un governo tecnico, con un preciso mandato politico, può essere in grado di aggredire.

Ma c’è anche un altro profilo alla luce del quale il governo tecnico, se correttamente impostato e gestito, potrebbe essere non solo non nocivo ma addirittura benefico per il nostro incerto bipolarismo. Non c’è dubbio che la rivoluzione maggioritaria del 1994 è rimasta incompiuta. Per errori tattici e strategici, per la resistenza ostinata delle istituzioni e nei poteri italiani, per radicati riflessi culturali della società, il nostro bipolarismo non è sinora riuscito ad assumere un assetto fisiologico. Abbiamo provato l’ebbrezza della competizione fra due schieramenti ma non siamo ancora riusciti a tradurre il nuovo assetto istituzionale in concreta capacità di governo. Il nostro bipolarismo oltre che (esasperatamente) conflittuale è stato sinora un bipolarismo sbilanciato sulle estreme, ribaltando quella che è una delle caratteristiche strutturali dei sistemi bipolari, la concorrenza al centro per conquistare l’elettore mediano. Ebbene se tutto questo è vero, è vero allora che un limitato periodo di convivenza dei due partiti maggiori a sostenere un governo tecnico in una fase di emergenza nazionale non può che essere benefico. La speranza è che alla fine della parentesi si possa finalmente raggiungere quella reciproca legittimazione che è essenziale per il buon funzionamento di una democrazia dell’alternanza. Nessun sistema democratico può reggere a lungo ad una condizione nella quale il tuo avversario politico non è semplicemente un avversario ma è un nemico che temi per la tua stessa sopravvivenza e che pertanto devi cercare di abbattere con ogni mezzo. E, in questa prospettiva, la dissociazione di Di Pietro e di Bossi potrebbe essere anche una buona notizia.

Naturalmente non ci sfugge il rischio che il governo tecnico possa alla fine dei conti rivelarsi piuttosto la tomba del bipolarismo. Sicuramente fra i cantori del governo tecnico ci sono coloro che non hanno altra ambizione che destrutturare l’attuale sistema istituzionale e ricreare l’età dell’oro della palude democristiana. Ma questo rischio non si affronta con il grido “elezioni, elezioni!”. Il rischio si scongiura piuttosto con una lucida analisi della situazione e con comportamenti conseguenti. E, proprio per questo motivo, riteniamo sia fondamentale che il governo tecnico, se ha da nascere, nasca all’interno di un chiaro e solido patto fra i due maggiori partiti del Paese che convergono sulla necessità di affrontare l’emergenze attuale per poter tornare dalla prossima legislatura ad una sana, civile e trasparente competizione politica. Un patto che ancori strettamente l’agenda del nuovo Governo alle precise richieste che l’Uunione Europea ci rivolge e che, semmai, che includa anche un accordo sulla riforma della legge elettorale pensata per preservare il nostro bipolarismo dal rischio, sempre immanente, della restaurazione.