Da catechismo a sessantottismo, che fine hanno fatto i ragazzi di Barbiana

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Da catechismo a sessantottismo, che fine hanno fatto i ragazzi di Barbiana

03 Maggio 2017

Su don Milani, sulla sua figura, sulla sua opera si ridiscute, ci si riappassiona, ci si scontra. Non più però, o comunque assai meno che nel ’68, sui ragazzi della scuola di Barbiana e sulla loro Lettera a una professoressa del 1967. Allora la si guardò come se fosse un libro di catechismo, oggi la si vorrebbe relegare fra i frutti più nefasti dell’eterno sessantottismo italiano. Vi si leggeva, a pagina 29, “…nel programma d’italiano ci stava meglio il contratto dei metalmeccanici. Lei signora l’ha letto? Non si vergogna? E la vita di mezzo milione di famiglie…”; a pagina 41, “…le maestre son come i preti e le puttane. Si innamorano alla svelta delle creature. Se poi le perdono, non hanno tempo di piangere…”; a pagina 81, “…tutti i ragazzi sono adatti a fare la terza media e tutti sono adatti a fare tutte le materie…”.

Tali punti, più o meno nella stessa formulazione, sarebbero entrati a vele spiegate, nella legislazione scolastica di questo quarto di secolo. Sicché, per tanti versi, la Lettera a una professoressa, ben al di là di quanto non si atteggiasse a “eresia”, si sarebbe rivelata oracolo di “ortodossia”. Si ritenne allora che non qualsiasi critica al libro e alla sua ideologia fosse da considerarsi reazionaria, si preferì da parte di molti lodare incondizionatamente i ragazzi di Barbiana, fino a proclamare la necessità di “farne la bandiera per una rivoluzione culturale, un po’ come fanno i cinesi col libretto del pensiero di Mao”.

Qualcuno, ovviamente, non volle adeguarsi. Ci fu un articolo di Rosellina Balbi su “Nord e Sud” del marzo del 1968. E grazie ad esso, si può risalire a quanto aveva scritto sulla “Fiera Letteraria” Manlio Cancogni, registrando con l’abituale spregiudicatezza come i ragazzi di Barbiana fossero stati pensati e voluti come dei personaggi che devono recitare una parte. Senza mancare di rispetto all’autore e senza allusioni cattive, Cancogni aveva percepito come per don Milani i ragazzi di Barbiana non potessero che porsi apriori “contro gli intellettuali, il partito dei laureati che parla una lingua che essi non capiscono, una lingua prolissa, artificiosa, vuota. Si parli loro con la massima chiarezza, usando le parole più usuali: diranno sempre che non capiscono. Alla lunga, diventa una storia noiosa”.

Già, si tratta però di una storia ampiamente realizzata. La soppressione dei voti e della bocciatura a scuola, come chiedeva cinquant’anni fa la Lettera a una professoressa, non sarebbe rimasta utopia. Il vero don Milani non fu affatto “profeta disarmato”.