Da “competitor” a partner strategico: la politica di Obama verso la Cina

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Da “competitor” a partner strategico: la politica di Obama verso la Cina

14 Novembre 2009

Rapporti Stati Uniti – Cina
E’ uscito un nuovo report sulla Cina a cura del Center for American Progress, think tank democratico di Washington, che, assieme ai due precedenti (A Global Imperative A Progressive Approach to U.S.-China Relations in the 21st Century del settembre 2008 e al recentissimo China’s New Engagement in the International System In the Ring, but Punching Below its Weight del novembre 2009), dà un’idea abbastanza esaustiva su quali saranno i punti principali della politica dell’amministrazione Obama nei rapporti con la Cina. La filosofia consigliata, che ispira tutti e tre i report, è quella di andare verso un inserimento sempre maggiore della super potenza asiatica nel sistema internazionale e di coinvolgerla nelle trattative sulle grandi questioni strategiche globali, quali la gestione dell’ambiente e il controllo degli armamenti nucleari. Il fine è quello di costruire tra i due paesi un clima costruttivo dominato dalla “strategic reassurance”- termine coniato dal vice segretario di Stato James Steinberg – da raggiungere anche con la costruzione di un sistema di sicurezza regionale che preveda anche il coinvolgimento di Pechino. 

Strategia certo meritevole d’attenzione ma che fino ad oggi si era scontrata con un problema pesante come un macigno: la questione dei diritti umani, da cui la Cina cerca di smarcarsi, contrapponendo alle pressioni internazionali il principio della non ingerenza nei suoi affari interni. Ora Obama, il premio nobel preventivo per la pace, sembra in nome della nuova politica aver accettato il punto di vista cinese, rifiutandosi infatti di ricevere il Dalai Lama in visita negli Stati Uniti, contrariamente al suo predecessore, George W. Bush.

Il limite di questa visione è sempre il solito, credere che la controparte sia mossa dalle stesse nostre buone intenzioni, speranza che comporta che la messa da parte di ogni cautela o precondizione, non organizzando ad esempio una strategia di contenimento adeguata, con i tutti i rischi che ne conseguono. E’ quanto sostiene un bel fondo Daniel Blumenthal dell’American Enterprise Institute.

Palestina
Se si dovesse fare un bilancio dell’attività di al Fatah non potrebbe essere altro che disastroso. Un partito segnato dalla corruzione, attraversato da faide e lotte fratricide, che è riuscito a perdere le elezioni che hanno consegnato ad Hamas il governo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), e ha pure perso la guerra successiva con cui Hamas ha conquistato il pieno controllo della Striscia di Gaza. Un partito incapace di governare che ha mancato l’obiettivo di dare uno Stato al proprio popolo sia attraverso la forza che attraverso negoziati di pace. Questa è Al Fatah, chiamata oggi a confrontarsi con la necessità di sviluppare una nuova politica che sciolga per lo meno tre nodi: il rapporto con Hamas, le modalità d’azione verso Israele, la chiarezza di rapporti e la divisione dei ruoli all’interno dell’ANP.

Iraq
Le cose sembrano andare meglio in Iraq adesso che il parlamento ha raggiunto un accordo sulla data e le modalità delle prossime elezioni amministrative. Questo risultato lo si deve, come ormai è risaputo, ad una molteplicità di fattori: dalla decisione dei sunniti filo Saddam di abbandonare Al Qaida, alla tregua lanciata da Motqada Al Sadr – grazie alla mediazione iraniana -, all’efficacia della strategia americana intrapresa dal generale Petraeus.  Ora arriva un bel documentario, The Surge. The Untold Story”, a cura dell’Institute for the study of War. E’ il racconto dei fatti che vanno dal gennaio 2007, quando il presidente Bush decise l’invio di nuove truppe, al luglio 2008, data in cui fu ritirata l’ultima brigata inviata per l’operazione di anti insurrezione. La guerra civile tra sciti e sunniti era, infatti, diventata devastante dopo che una bomba aveva distrutto, il 22 febbraio 2006, la moschea sciita di al Askari Shrine a Samarra.

Afghanistan
Sempre con riferimento a contributi filmati, si può vedere questo breve video della PBS. E’ estremamente interessante e rende l’idea di quello che sta accadendo laggiù, meglio di molti discorsi. C’è una pattuglia che gira tra lande semideserte e polverose, che non capisce bene dove si trova, con un interprete che non parla il dialetto del luogo, in mezzo ad un contrasto surreale tra la ipertecnologia americana e la miseria vmedievale di quelle campagne. Ad un certo punto, il momento culminante di tutto il film, il comandante americano si ferma ad interrogare un gruppo di abitanti di un villaggio, sul perché non si ribellino ai talebani; un contadino, davanti a una casa di fango, risponde semplicemente e ridendo, “se non potete fare niente voi con i carri armati, gli elicotteri, che cosa possiamo fare noi?”. A conferma di ciò, a pochi minuti di distanza, ecco che la pattuglia è presa di mira dal fuoco dei combattenti islamisti. Ma è un filmato tragico che mostra anche la faccia feroce della guerra con il ferimento grave di un giovane marine.

Bosnia
Venendo a casa nostra, ecco un aggiornamento sui Balcani. La situazione in Bosnia è sempre delicata e precaria date le frizioni continue tra le due entità para statali in cui è suddivisa la regione. Se entro breve termine non si troverà una soluzione, sarà difficile per l’Unione Europea e gli Stati Uniti riuscire delineare nell’area un futuro di sicurezza e stabilità.

http://leonardotirabassi.blogspot.com