Da Mirabello alle Amministrative quello di Fini è stato un grande flop

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Da Mirabello alle Amministrative quello di Fini è stato un grande flop

17 Maggio 2011

È ormai notizia ufficiale che il grande sconfitto del primo turno delle elezioni amministrative si chiami Silvio Berlusconi. Ma nella breve lista dei veri vincitori non possiamo certo inserire l’uomo che tentò di impersonificare l’alternativa più valida al leader del Popolo della Libertà, il sostituto più appetibile non solo per il centrodestra ma anche per l’opposizione: Gianfranco Fini. I risultati delle urne vanno letti anche con un occhio gettato a quello che si diceva di lui meno di un anno fa.

Scalfari su “la Repubblica” lo invocava come Presidente del Consiglio di un governo d’emergenza e transizione, l’ex “fascista del 2000” prendeva sonori applausi alle feste del Partito Democratico. Era il settembre del 2010 e nel corso del comizio di Mirabello, quello che ancora molti suoi sostenitori si ostinano a chiamare “storico”: disse che non intendeva creare un Alleanza Nazionale in piccolo ma un Pdl in grande.

Alla prima prova elettorale questo Pdl in grande non si vede. Nemmeno il Terzo Polo abbozzato con Pierferdinando Casini sembra brillare particolarmente: i consensi raccolti non si discostano molto da quelli storici raccolti dall’Unione di Centro.

Scorrendo il responso delle principali città, Fini ha ben poco da stare allegro. Forse è incoraggiante il dato di Napoli, dove Futuro e Libertà prende un 3,39 per cento (e il suo candidato sindaco Raimondo Pasquino sfiora il dieci); ma su scala nazionale tale percentuale lascerebbe il partito finiano fuori dalla Camera in un’ipotetica corsa solitaria. Ed è il risultato migliore, nel centrosud, storicamente più generoso con la galassia postfascista.

Da Torino arriva la notizia peggiore, un magrissimo 1,40 per cento: molto meno di Vendola, Grillo e perfino del divetto sul viale del tramonto Antonio Di Pietro. Tanto per ricordarci che se si sceglie di votare contro Berlusconi c’è ben altro da premiare con la crocetta sulla scheda.
L’aria del Sardegna non tonifica il risultato di Cagliari (sotto il 3 per cento), né la brezza dell’Adriatico smuove consensi Trieste (poco sopra il suddetto 3).

Per Milano e Bologna, le due città simbolo della riscossa del centrosinistra la situazione è ancora più complicata. Futuro e Libertà si era presentato in liste civiche, piccoli terzi poli che si volevano in crescita. Ma sotto la Madonnina il “Nuovo Polo per Milano” non ha toccato il tre per cento (2,67); voti che però, sommati a quelli dell’Udc hanno premiato il candidato Manfredi Palmeri con più del 5,50. Sotto San Petronio il candidato sul quale hanno puntato i finiani, Stefano Aldrovandi, ha raccolto un risultato di poco inferiore.

Nei comuni minori il dato più significativo è sicuramente quello del progetto “fasciocomunista” lanciato e strombazzato dallo scrittore Antonio Pennacchi nella sua Latina: non esce dallo zero virgola. “Nemmeno i parenti lo hanno votato”, è stato l’amaro commento scritto su Facebook da Adolfo Urso.            

Se Arcore forse piange, dunque, Mirabello non ride. Anche perché i veri guai devono ancora arrivare, con i ballottaggi. Dove schierarsi? Futuro e Libertà è diviso. Chi come Urso vuole rimanere nella famiglia del centrodestra chiede di appoggiare i candidati del Pdl, proprio per contribuire a ricostruire l’area moderata. Dalle parti di Bocchino e Granata si parla invece di fine del berlusconismo e ci si dice pronti a qualsiasi alleanza pur di accelerarla.

E Fini che dirà? Nell’ora dei destini fatali solitamente ha sbagliato. Può darsi che stavolta non voglia correre il rischio e proponga il voto di coscienza. Come se fosse un referendum sul fine vita. Ma è sua la vita politica che rischia di veder scritta la parola “fine”.