Da Nord a Sud, la Russia ha accerchiato l’Ucraina col gas
08 Settembre 2011
L’inaugurazione, martedì scorso, del gasdotto North Stream è stata accompagnata dai sorrisi e dagli abbracci tra il premier russo Vladimir Putin e l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, ora a capo del consorzio North Stream Ag. Chi, invece, ha certamente avvertito forte mal di pancia è l’Ucraina che, con l’entrata in funzione del gasdotto, perde di colpo il suo più forte potere negoziale, sia nei confronti della Russia come dell’Europa: essere un Paese di transito esclusivo.
Il North Stream, infatti, metterà in diretto collegamento energetico l’ex colosso sovietico e l’Europa centrale, saltando a pie’ pari il Paese ucraino. E ancora più forti saranno i dolori quando a fare il suo ingresso a pieno regime sarà il South Stream, il secondo gasdotto che porterà il gas dalla Russia verso i Balcani, l’Europa centrale e l’Italia, la cui realizzazione è prevista per il 2015. Ucraina, quindi, che sarà letteralmente tagliata fuori da ogni discorso geopolitico legato all’energia. Una guerra persa ormai per il governo di Kiev, cominciata nell’ormai lontano 1993 e giunta all’escalation il 1 gennaio 2006, quando da Mosca arrivò l’ordine di chiudere i rubinetti del gas diretto verso l’Ucraina. Crisi risolta con un accordo-lampo già il giorno successivo, ma che in poche ore aveva gettato non solo Kiev, ma l’intera Europa nell’incubo di un inverno al freddo e al gelo. Ed ecco infine lo show down finale.
Gas, quindi, che si dimostra ancora una volta una delle armi principali– se non la prima – che più conferiscono potenza politica alla Russia. E il North Stream, in questo, si rivela lo strumento perfetto per ammansire le tendenze filo-occidentali dell’Ucraina e, allo stesso tempo, per soddisfare l’ingente fabbisogno di gas naturale dei Paesi europei. Insomma, un triangolo in cui: 1- la Russia consegue una doppia e schiacciante vittoria; 2- l’Europa (in primo luogo la Germania) ottiene quello che voleva, ma si consegna di fatto allo strapotere del Cremlino in fatto di energia (almeno finché le energie alternative non riusciranno a soddisfare il fabbisogno energetico di un Paese, ma i tempi non sono certamente brevi); 3- il governo di Kiev esce con le ossa rotte. Ora il governo ucraino – come sottolinea il portale di geopolitica Stratfor – avrà l’arduo compito di perseguire una politica filo-russa (come già da qualche tempo aveva iniziato a fare), senza però dimenticare che al suo interno rimane ben salda la frangia che vorrebbe vedere il proprio Paese più vicino all’Europa, che ora, grazie al North e al South Stream, potrà fare a meno della via ucraina del gas.
Spostando l’attenzione dal gasdotto settentrionale a quello meridionale, nella questione entra anche l’Italia. Sempre nella giornata di martedì oltre all’inaugurazione del North Stream – che entrerà effettivamente in funzione a ottobre – l’amministratore delegato di Gazprom, Alekseij Miller, ha infatti definito le varie quote di partecipazione all’interno della joint venture che controlla il South Stream: il nuovo accordo prevede la riduzione della quota Eni al 20% (dal precedente 30%), con la francese Edf e la tedesca Basf che rilevano ognuna una quota del 15%. La compagnia energetica italiana smentisce l’ipotesi per cui a questa riduzione di quote corrisponda una perdita di peso politico dell’azienda stessa, a favore delle omologhe società francese e tedesca. Quello su cui fa forza Eni – come messo anche in evidenza ieri dal Sole 24 Ore – sono gli interessi già acquisiti legati all’approvvigionamento e alla vendita del gas russo sul mercato europeo. Via Mar Nero, infatti, arriveranno in Europa fino a 63 miliardi di metri cubi, che fanno del South Stream un gasdotto con maggiore capacità rispetto al North Stream (55 miliardi di metri cubi).
La decisione, fortemente voluta da Gazprom, di allargare la partecipazione nel consorzio del South Stream a Francia e Germania – accordo che, secondo il portavoce della compagnia russa, è "concordato" da parte dell’Eni – sarebbe volta ad assicurare al progetto una maggiore copertura finanziaria. Ma, forse, soprattutto politica, complice la travagliata e conflittuale situazione che caratterizza la Penisola. Con la Russia che, attraverso la sua compagnia energetica "di bandiera", sembra scavalcare le logiche di mercato che riguardano le aziende, basandosi più che altro sull’affidamento riposto nei vari Paesi europei. Comunque un dato è certo: se il gas fosse il primo fattore per misurare la potenza di uno Stato, la Russia dello "zar" Putin avrebbe in mano un dominio incontrastato.