
Dagli al burocrate! Ma nessuno si preoccupa di cambiare le norme

09 Maggio 2020
Parte terza: POST SCRIPTUM
Ci siamo, la rinnovata stagione della caccia al colpevole è ricominciata.
La Fase 2 del periodo emergenziale, cioè quella della timida ripresa delle attività economiche, ha dato nuova linfa all’esercito di pseudo-esperti, che, come tanti allenatori della squadra di calcio nazionale, dettano la loro ricetta miracolosa per sostenere l’economia. Occorre ammirare tanta fulgida fantasia, espressa in interviste su importanti quotidiani, in articoli di fondo di stimati giornalisti, in programmi televisivi, e cosi via. Mai l’Italia aveva avuto il sostegno di tanti economisti, politologi, tecnici e divulgatori scientifici, ciascuno con una sua idea (più o meno in buona fede), ognuno in un ambito definito del quale ha l’impressione di possedere i fondamentali, ma TUTTI accomunati da un unitario grido di dolore: qualunque buona idea e qualunque intervento a sostegno dell’economia rischia di naufragare per responsabilità dei Burocrati.
Chi individua la soluzione in un programma di opere pubbliche di 100 miliardi di euro, immediatamente rileva che però occorre superare i problemi burocratici, anche eliminando il timore dell’errore, riferendosi ovviamente non tanto agli errori di progettazione (vera piaga) quanto alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, ritenute farraginose.
Chi rileva che i finanziamenti alle imprese, anche garantiti dallo Stato, non arrivano a destinazione, e naturalmente individua il male nella burocrazia: attenzione, non con riferimento alle procedure interne agli istituti bancari, bensì con richiamo ai soggetti che hanno normato detta garanzia in modo che non funzionasse, con disposizioni spesso incomprensibili.
Chi sostiene che nessun intervento potrà mai funzionare se poi ogni atto o provvedimento amministrativo in campo economico, a partire dagli appalti pubblici, può essere impugnato innanzi al Giudice amministrativo (a volte accomunato ai burocrati), il quale può sospenderne l’efficacia in via cautelare, rallentando o bloccando l’attività, con gravi danni per la collettività: se si eliminasse la tutela cautelare e magari anche il doppio grado di giudizio, allora gli investimenti pubblici e privati non sarebbero irragionevolmente frenati (dimenticando che il processo amministrativo è ben più rapido di quello civile o penale o tributario).
Chi, più semplicemente e banalmente, afferma che la ricostruzione economica e sociale del paese e l’accelerazione della spesa pubblica è possibile, ma a patto di “snellire” la burocrazia per efficientarla.
Persino i barbieri e gli estetisti sardi si sentono schiacciati dalla burocrazia, e le organizzazioni di categoria ovviamente sono anch’esse cadute nella trappola della ricerca del colpevole, anchecon espressioni feroci, come accaduto in ambito edilizio, ove si ritiene che serva una “eliminazione violenta” della burocrazia, che risulterebbe essere, per altri settori economici, “la vera pandemia” o “il nuovo virus”, ciò che giustificherebbe un intervento shock.
Eppure, se poi si vanno ad analizzare più a fondo le ragioni del disagio, si scopre che oggetto di lamentela sono: le norme del codice degli appalti; le disposizioni di legge e regolamentari sugli aiuti alle imprese; la disciplina normativa in ambito edilizio, agricolo, del commercio, del turismo, soprattutto c.d. emergenziale; la disciplina procedimentale, irta di garanzie e controlli; il regime delle responsabilità; l’eccesso di causidicità, che riempie irragionevolmente gli archivi dei tribunali; la disorganizzazione delle strutture pubbliche; la sovrapposizione di competenze; i conflitti interistituzionali; i troppi livelli di governo.
Insomma, tutti aspetti che non riguardano i Burocrati o i Giudici amministrativi, ma solo le norme che essi sono tenuti, e a volte costretti, ad applicare: e le norme, contrariamente a quanto scritto da illustri giornalisti, non le approvano i burocrati o i giudici, ma i legislatori (nazionale e regionali) e i regolatori, cioè le autorità con potere normativo.
Se la disciplina normativa è poco chiara, complessa, farraginosa nella sua potenzialità applicativa, ne deriva un’azione amministrativa lenta, complicata, farraginosa, ingiusta, con effetti patologici che finiscono per interessare il Giudice amministrativo, il quale interviene quando il conflitto tra interessi è ormai trasceso e si dubita della legittimità dell’azione amministrativa.
Certo, non può nascondersi che in Italia l’età media dei dipendenti pubblici è molto alta rispetto agli altri paesi europei, che v’è poco ricambio generazionale, che mancano risorse significative (ormai da oltre 15 anni) per la formazione e riqualificazione del personale (e l’abolizione della gran parte delle scuole di amministrazione ha peggiorato il quadro), che il numero dei dipendenti di pubbliche amministrazioni, in percentuale rispetto alla popolazione, è tra i più bassi in Europa, che il personale e i dirigenti sono allocati a macchia di leopardo, senza una strategia organizzativa, e sono anche discriminati al loro interno per la presenza di una vera giungla retributiva.
Ma, date queste condizioni, non eliminabili a breve, certo non pare ragionevole immaginare che la soluzione sia la loro eliminazione fisica o lo “snellimento” o, semplicemente, avere individuato un presunto colpevole.
Allora, si dovrebbe agire con coraggio sulle norme che regolano l’azione delle amministrazioni pubbliche, per liberare le migliori energie, eliminare i lacciuoli che irragionevolmente limitano la capacità e la rapidità di azione, rendere, in definitiva, più semplice l’agire amministrativo.
Sui quattro criteri chiave (semplicità, certezza, durabilità, fiducia) si è già scritto (LINK).
Ma forse conviene tornare su uno di essi in particolare, la fiducia.
Ciò che appare è la profonda sfiducia che il legislatore, di qualunque rango, manifesta, ormai da tempo, nei confronti della dirigenza e del personale delle amministrazioni pubbliche, ogni qual volta: provi ad esaurire a livello normativo il contemperamento degli interessi presenti in settori economici, con riduzione o eliminazione di ogni margine di discrezionalità amministrativa; istituisca autorità speciali o commissari con poteri speciali o task force o strutture di missione, che si sovrappongono agli organi amministrativi competenti, sottraendo agli stessi potere pubblico; aumenti gli ambiti di responsabilità amministrativa e aggravi il sistema sanzionatorio, senza nel contempo riqualificare i funzionari e dotarli di mezzi e risorse adeguati; fissi adempimenti con termini palesemente incongrui a fronte di passaggi procedimentali complessi, aumentando le ipotesi di silenzi cc.dd. significativi, surrogato patologico dell’azione amministrativa da esprimersi fisiologicamente attraverso provvedimenti espliciti.
Ma appare anche la profonda sfiducia che i legislatori, di ogni rango, hanno nei confronti di cittadini, imprese, professionisti e utenti tutti, anche nell’attuale periodo emergenziale.
L’ipertrofia normativa, già male italiano, si è nutrita a dismisura nel periodo emergenziale, nell’intento dei regolatori di disciplinare (peraltro male e senza chiarezza) ogni aspetto della vita dei cittadini e delle imprese, in modo da non lasciare spazi decisionali autonomi, nel timore che spazi di libertà potessero aggravare la situazione sanitaria. Da troppo tempo le leggi sono complesse per evitare che vengano non applicate, eluse, aggirate. Si complica la vita a tanti per difendersi da pochi cc.dd. furbi.
Certo, il sistema delle autocertificazioni sembrerebbe, invece, essere frutto di una sorta di affidamento sulla onestà dei cittadini, ma è solo apparenza. In effetti, l’introduzione delle dichiarazioni sostitutive di certificazione o di atti notori, ormai più di vent’anni orsono, è dovuta più ad una esigenza di dematerializzazione delle certificazioni che all’assunzione di un principio di fiduciarietà. A ben vedere, il legislatore non si è mai fidato, imponendo all’amministrazione ricevente l’autodichiarazione di svolgere doverosi ed ineliminabili controlli successivi. Così non si è provocato alcuno snellimento o semplificazione dell’attività amministrativa.
Il criterio della fiducia richiederebbe, al contrario, di dotare l’amministrazione di maggiore autonomia decisionale e di affidarsi alla consapevolezza dei cittadini e delle imprese quanto al rispetto delle norme. Ogni sistema sociale con ordinamento giuridico si fonda su un presupposto semplice: tutti osservano spontaneamente le norme fissate. Se il legislatore, più o meno consciamente, costruisce l’ordinamento giuridico sul presupposto che le norme non vengano osservate, la mancanza dell’elemento fiduciario renderà quel sistema sociale del tutto inefficiente, anche sotto il profilo economico.
Con coraggio: aiutiamo la burocrazia ad aiutarci.