“Dai divieti alla libertà: tornare alle regole del boom economico”. Intervista a Giovanni Toti

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“Dai divieti alla libertà: tornare alle regole del boom economico”. Intervista a Giovanni Toti

“Dai divieti alla libertà: tornare alle regole del boom economico”. Intervista a Giovanni Toti

28 Marzo 2020

“Per ripartire serve libertà assoluta. Bisogna tornare alle regole che fecero grande il nostro Paese negli anni ‘50 e ‘60, quelli del boom economico”. Giovanni Toti ha le idee chiare. Cosa non di poco conto in questo tempo dove la confusione sembra regnare sovrana. E scelte chiare ha operato anche nella gestione dell’emergenza nella regione che presiede, la Liguria. Proprio dal chiedergli conto di queste decisioni prendere le mosse l’intervista che ci ha concesso.

Presidente, innanzitutto a che punto siamo con l’emergenza Coronavirus in Liguria?

La situazione è in continua evoluzione. Al momento i numeri ci dicono che c’è un rallentamento dei contagi. Cresce il numero dei domiciliati a casa, segno che anche la collaborazione con la medicina territoriale comincia a funzionare. Crescono anche gli ospedalizzati, ma le terapie intensive stanno tenendo, questo vuol dire che si comincia a costruire un percorso virtuoso. Per il momento vi è ancora un piccolo polmone di sale di rianimazione: oggi sono 1152 i letti a disposizione per i malati di Covid. Certo è che non smetterò mai di ringraziare i medici, gli infermieri e tutto il personale sanitario per il lavoro svolto in questi giorni difficili.

Codogno e Vo’Euganeo, rispettivamente in Lombardia e Veneto, sono i simboli del focolaio italiano. Stando ai dati, però, la Lombardia oggi registra un numero di morti nettamente superiore rispetto al Veneto. Secondo lei, guardando dalla prospettiva ligure, quanto può aver influito il diverso modello di sanità? Oppure le cause di questa sproporzione sono altre?

Il modello della sanità lombarda è un modello virtuoso e la sua eccellenza è riconosciuta a livello mondiale. Io penso che il numero dei morti non sia assolutamente dovuto ad un deficit del sistema sanitario della Lombardia, ma dall’altissimo numero di contagi che ci sono stati in quelle zone.

Com’è nata l’idea della nave-ospedale?

L’idea della nave-ospedale GNV Splendid attraccata a Ponte Colombo nel porto di Genova è nata per ospitare i nostri malati di coronavirus dimessi dagli ospedali o che non possono fare la quarantena nelle loro case. Nei giorni scorsi è stato portato a bordo anche l’impianto dell’ossigeno: in questo modo la nave non sarà più solo un luogo per la convalescenza, ma consentirà di assistere anche coloro che avranno bisogno di cure a bassa intensità. Tutti i pazienti continueranno il percorso di ricovero sulla nave sino alla avvenuta negativizzazione del tampone, quando finalmente potranno essere dimessi garantendo la sicurezza individuale e della cittadinanza.
Oltre alle nave, abbiamo individuato anche la struttura polivalente Danilo Ravera di Viale Cembrano a Genova, la scuola di polizia penitenziaria di Cairo e l’ex ospedale Falcomatà della Spezia: nuovi posti letto creati in tempi record per fronteggiare l’emergenza e per garantire a tutti le migliori cure.

Oggi l’Italia è una grande zona rossa. Dal suo punto di vista, arriverà il giorno in cui verrà differenziata la strategia di contenimento tra il Nord e il resto d’Italia?

Al momento siamo ancora alle prese con un confinamento necessario per proteggere il Sud e le aree che confinano con quella del focolaio della Lombardia. Ma bisogna cominciare a ragionare su come differenziare le misure di contenimento sul territorio. Una cosa sono Bergamo, Brescia, un’altra il resto d’Italia. Io credo si possano iniziare ad allentare le misure dopo la fine di aprile. Dobbiamo ritornare piano piano alla normalità: come in una guerra, c’è chi sta al fronte e chi, dalle retrovie, pensa anche ai rifornimenti. Si deve agire a scacchiera, non si può bloccare a tempo indeterminato la filiera economica del Paese. Non possiamo chiedere solo a medici e infermieri di fare dei sacrifici. Serve più coraggio.

Sul tema “ordinanze” che ha creato non pochi problemi tra governo e regioni, lei ne ha emanata una con quale si danno pieni poteri ai sindaci. Qual è l’idea di fondo che ha seguito?

I Sindaci hanno una conoscenza diretta e approfondita del territorio di loro competenza che gli permette di valutare in maniera appropriata i luoghi ritenuti idonei a potenziali assembramenti. Considerando la diversità e peculiarità delle singole aree della nostra regione, ritengo che ogni Comune sappia meglio di chiunque altro le zone da vietare e quelle invece da lasciare accessibili per le esigenze consentite. È chiaro che le aree interdette possono cambiare anche a seconda della giornata festiva e feriale.

In questo tempo così particolare, come sono andati avanti i lavori per la costruzione del nuovo Ponte Morandi?

I lavori per la costruzione del nuovo Ponte procedono senza sosta, nonostante il periodo difficile che stiamo attraversando. La scorsa settimana è arrivato in quota il terzo impalcato da 100 metri e ad oggi sono 750 i metri di lunghezza del viadotto Polcevera che possiamo già ammirare. Quello del ponte di Genova è il cantiere che non dorme mai, è il cantiere del buon senso. E ha un obiettivo importante: non solo restituire il viadotto alla città, ma ridare speranza e futuro al Paese, dimostrando che gli obiettivi si possono raggiungere. Il solo pensiero di poter fermare i lavori, così come bloccare molti altri cantieri, dal Bisagno a quelli dei danni provocati dalle alluvioni, vorrebbe semplicemente dire farsi trovare impreparati alla durissima prova che ci aspetterà dopo quella del virus: quella dell’economia.

Presidente, l’Italia del “post Covid19” dovrà essere ricostruita praticamente proprio come accade dopo una guerra. Lei da cosa partirebbe?

Pensiamo a un pendolo. Per sconfiggere il virus abbiamo introdotto regole rigide che limitano le libertà di ciascuno e chiudono il sistema economico. Dunque, appena avremo vinto sul coronavirus, il pendolo dovrà oscillare dall’altra parte: per ripartire serve libertà assoluta. Bisogna tornare alle regole che fecero grande il nostro Paese negli anni ‘50 e ‘60, quelli del boom economico. Come ha detto giustamente Draghi, serve debito per finanziare gli investimenti pubblici e il credito alle imprese. Ma servono soprattutto regole che consentano di spendere quei soldi. Dunque: lavori pubblici affidati direttamente o con gare brevi e semplici dalle pubbliche amministrazioni. Nessuna possibilità di ricorso al TAR, nessuna autorizzazione per aprire negozi e imprese di ogni genere, semplificazione massima di ogni contratto di lavoro, gigantesco credito alle aziende che vogliono investire, procedure urbanistiche ridotte all’osso. E la speranza che nel nostro Paese torni lo spirito di quei tempi, quello che faceva dire al leader della Cgil dell’epoca, Di Vittorio: “Prima costruiamo le fabbriche, poi le case”. Quello che faceva degli imprenditori uomini capaci di investire, rischiare. E della classe politica una classe dirigente, capace del coraggio di scegliere e decidere.