Dal discorso di Benedetto XVI il rilancio dell’alleanza tra credenti e laici in Italia e in Europa
02 Novembre 2006
di Nicola Bux
Potrebbe sembrare estraneo agli interessi di persone non credenti, ma l’ouverture del discorso di papa Benedetto XVI a Verona è tutt’altro che un atto dovuto o devoto: “La risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli Apostoli sono stati testimoni e non certo creatori. Nello stesso tempo essa non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande “mutazione” mai accaduta, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo: per questo la risurrezione di Cristo è il centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall’inizio e fino alla fine dei tempi. Si tratta di un grande mistero, certamente, il mistero della nostra salvezza, che trova nella risurrezione del Verbo incarnato il suo compimento e insieme l’anticipazione e il pegno della nostra speranza”. Una cosa va notata innanzitutto: che la risurrezione di Cristo è un fatto dentro la storia e che non è stata una creazione apostolica. Questo fatto è una “risposta” al relativismo teologico, che non era passato inosservato nemmeno ai laici. Una seconda cosa: la risurrezione non è appena un ritorno allo statu quo ante ma il più grande mutamento che sia accaduto nell’umano, nella storia e nell’universo, dalle origini ad oggi. Questa è una “risposta” al fideismo e al moralismo. In tal senso, la grande premessa fatta dal Papa riguarda tutti, credenti e non. Ne va di mezzo il senso della speranza. In tal modo, il Papa ha colpito al cuore – come al solito con stile pacato e puntuale, – il relativismo teologico in primis, ma anche il nichilismo e il relativismo interreligioso costruendo la premessa di fondo e nello stesso tempo la struttura portante del suo discorso, svolgendo nient’altro che il tema del Convegno ecclesiale “Testimoni di Cristo risorto per la speranza del mondo”.
Negli anni del post-concilio, infatti, da parte di docenti di seminario e di chierici acritici, si è puntato a demitizzare o destoricizzare sistematicamente con guanti di velluto l’avvenimento della risurrezione. Se questa, come dice l’apostolo Paolo, è il fondamento della fede, è stata relativizzata e ridotta a credenza. Così era cominciato il relativismo teologico in Europa. Dopo il discorso di Verona, per chi vorrà riflettere seriamente, è chiaro che il cristianesimo non vale quanto le altre religioni.
Alla Chiesa in Italia, il Papa ha richiamato la sua ragion d’essere nel mondo a partire dalla risurrezione di Gesù Cristo, davanti a una platea di vescovi e laici, tra i quali anche alcuni che in un passato non remoto hanno sostenuto, da teologi ascoltati, le tesi relativiste. Papa Ratzinger è andato al cuore del pensiero teologico “debole” che aveva ridotto la risurrezione ad una “leggenda eziologica” e l’ha fatto collegandosi in certo modo al pensiero di Giovanni Paolo II che nella sua prima enciclica Redemptor Hominis aveva letto questo mistero nella logica dell’amore che si dona totalmente sulla croce e ottiene una vita nuova e immortale (cfr n 20).
L’eucaristia, che è l’atto centrale del culto cattolico, trae senso proprio da tale mistero efficace e potente: e il Papa lo ha richiamato, in quanto anche la Messa ha subìto l’attacco del relativismo teologico che l’ha ridotta a una cena per stare insieme; invece è il sacrificio totale che diventa cibo per la vita e la liberazione dell’uomo. Indi l’affermazione capitale: “La sua risurrezione è stata dunque come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé”. Il mondo nuovo è la Chiesa che “costituisce la primizia di questa trasformazione” che “giunge a noi mediante la fede e il sacramento del Battesimo”.
L’energia potente della risurrezione costituisce la forza della fede – osserva il Papa – che continua ad offrire, anche agli uomini e alle donne del nostro tempo, il senso e l’orientamento dell’esistenza e permette alla Chiesa di avere “un ruolo-guida e un’efficacia trainante” nel cammino della Nazione verso il suo futuro. E’ questo il nucleo duro dell’identità cristiana che entra in dialogo con tutte le altre.
Fatta questa grande premessa, per niente scontata come abbiamo visto, papa Benedetto ha affrontato quale primo punto il servizio della Chiesa in Italia e all’Europa, partendo da una lettura della “nuova ondata di illuminismo e di laicismo”, nonché della prassi affermata per cui “la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare”. In tal modo, se da un lato “Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica…” dall’altro si verifica “ una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura”. Si arriva così ad un “autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura, che era una rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà”. Altrettanto dicasi per l’ “esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso”. L’effetto più vistoso è dato proprio dal cosiddetto conflitto di civiltà che è la conseguenza in realtà di “un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell’umanità”: proprio questo impedisce “di instaurare un vero dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente”. Il grave “rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà ” è avvertito dai cristiani.
A questo punto, il primo del discorso, il Papa richiama l’attenzione della Chiesa su un movimento verificatosi negli ultimi anni nella società italiana ed europea: “Questa sensazione, che è diffusa nel popolo italiano, viene formulata espressamente e con forza da parte di molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede”. Quindi passa a formulare un appello: “La Chiesa e i cattolici italiani sono dunque chiamati a cogliere questa grande opportunità, e anzitutto ad esserne consapevoli”. In quanto è necessario “ aprirsi con fiducia a nuovi rapporti, non trascurare alcuna delle energie che possono contribuire alla crescita culturale e morale dell’Italia”. E’ sembrato di riudire l’invito a tutti gli uomini di buona volontà fatto da papa Giovanni XXIII nel contesto della crisi di Cuba, o il messaggio rivolto da Paolo VI agli uomini di pensiero e di scienza alla fine del Concilio Vaticano II. Soprattutto è la ripresa del “Non abbiate paura”, rivolto da Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato in special modo ai governanti delle nazioni. Dopo un decennio abbiamo visto gli effetti in Europa dell’est e non solo. Ora l’invito di papa Benedetto XVI s’indirizza in specie alla parte occidentale dell’Europa. Ora, della stessa pazienza amorosa che porta al dialogo con tutti i cristiani e gli uomini religiosi, non si dovrà intessere l’atteggiamento verso i laici attenti alla ragione? Non è utile anzi necessaria una alleanza? Lo chiede ora da Papa quel teologo che ha contribuito alla stesura della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II. I cattolici, a cominciare dagli italiani, sono chiamati ad accogliere questo invito come vino nuovo approntando otri nuovi.
A questa alleanza, Benedetto XVI propone come metodo di far “ emergere soprattutto quel grande “sì” che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza; come, pertanto, la fede nel Dio dal volto umano porti la gioia nel mondo”. Da qui viene l’apertura “ a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà”. Un discernimento che “non è mai un semplice adattarsi alle culture, ma è sempre anche una purificazione”, guidati dallo Spirito che stimola la libertà e fa nascere l’uomo nuovo. Tutto questo non accade, – il Papa ribadisce ancora una volta l’incipit dell’enciclica Deus caritas est (cfr 1), – se non attraverso l’esperienza dell’incontro con ogni uomo e donna che cerchi la verità con cuore sincero. Il “metodo” è documentato nei vangeli: Gesù incontrava il centurione pagano come il capo della sinagoga ebreo, la donna samaritana e l’autorevole sinedrita Nicodemo, la povera donna siro-fenicia e il giovane ricco, il pubblicano Levi e lo zelota Simone e a tutti proponeva ragionevolmente l’amicizia con lui. Poteva seguirne la scoperta della verità e dell’amore che avviava il cambiamento o conversione della vita. Non c’è altro metodo ragionevole di dialogo tra uomini, che pratichino una credenza religiosa o siano indifferenti o persino non credenti; tanto meno per una vera esperienza cristiana e umana.
Con un passaggio ardito, ma noto a chi conosce il teologo Ratzinger, il papa osserva che l’incontro in questione non si verifica solo in rapporto a una domanda di fede – cosa che caratterizzava maggiormente i tempi passati – ma “anzitutto in rapporto alla ragione” che caratterizza il contesto scientifico e tecnologico odierno. A tal fine svolge una riflessione esemplare, gravida di conseguenze per le scienze filosofiche e teologiche, in specie circa la matematica: “ la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’universo … suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il primato all’irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà”. Se si è seguito il ragionamento, si comprende l’insistenza del Papa ad “ allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme”. Un “compito” ed “un’avventura affascinante… per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza”. Senz’altro il “progetto culturale” della Chiesa in Italia – è lui che vi accenna – riceve un suggerimento prezioso di cui si dovrebbe tener conto, e proprio nella direzione di un maggior sostegno dell’“alleanza” tra laici e credenti. Così possiamo supporre che la questione della rappresentanza dei cattolici in politica dopo la fine della Democrazia cristiana possa avviarsi a nuova e originale soluzione.
Un approfondimento ulteriore, nel discorso di Verona, il Papa lo compie in direzione dell’esigenza della persona umana “di essere amata e di amare a sua volta”, ma anche del problema del “male”: sono l’ambito in cui “si manifesta cosa significhi che “Dio è amore”: ma è anche un affondo che merita l’attenzione di chiunque abbia a cuore l’umano: “ Dio rispetta e salva la nostra libertà. Al potere del male e del peccato non oppone un potere più grande, ma – come ci ha detto il nostro amato Papa Giovanni Paolo II nell’enciclica Dives in misericordia e, da ultimo, nel libro Memoria e identità – preferisce porre il limite della sua pazienza e della sua misericordia, quel limite che è, in concreto, la sofferenza del Figlio di Dio. Così anche la nostra sofferenza è trasformata dal di dentro, è introdotta nella dimensione dell’amore e racchiude una promessa di salvezza”. Per i cristiani costituisce dunque l’invito più convincente a seguire Cristo sulla via del dono di sé: come Cristo che è “segno di contraddizione”, i cristiani devono “ essere sempre pronti a dare risposta (apo-logia) a chiunque ci domandi ragione (logos) della nostra speranza, come ci invita a fare la prima Lettera di San Pietro (3,15)”… “con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (3,15-16), con quella forza mite che viene dall’unione con Cristo. Dobbiamo farlo a tutto campo, sul piano del pensiero e dell’azione, dei comportamenti personali e della testimonianza pubblica”. Per i laici non credenti quest’invito è una proposta utile, anche sul piano della sola ragione. Infatti, il Papa ricorda “la forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti” che “ ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico-romano”. Analogo fenomeno si è verificato in seguito, in diversi contesti culturali e in differenti situazioni storiche, dove i credenti non hanno solo combattuto i non credenti, ma hanno anche cercato le vie del confronto del pensiero e della collaborazione nelle opere, in un atteggiamento di rispetto e tolleranza ante litteram. Quindi, l’endiadi verità e amore rimane oggi la strada maestra non solo per l’annuncio del vangelo ma per la ripresa della ragione nel clima di irrazionalità che sembra predominare.
Come trasmettere tutto questo da una generazione all’altra? Il Papa indica innanzitutto alla Chiesa, ma a chiunque abbia a cuore il bene dell’uomo la priorità delle priorità: l’educazione della persona, che avviene, dice, con la “formazione della sua intelligenza, senza trascurare quelle della sua libertà e capacità di amare”, e per chi crede ricorrendo all’aiuto della grazia di Dio. E scende nel particolare: “Un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà…Da questa sollecitudine per la persona umana e la sua formazione vengono i nostri “no” a forme deboli e deviate di amore e alle contraffazioni della libertà, come anche alla riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile. In verità, questi “no” sono piuttosto dei “sì” all’amore autentico, alla realtà dell’uomo come è stato creato da Dio”. Chi, singolo, famiglia, comunità, istituzione, non si sentirà interpellato sulla questione educativa? E il ruolo educativo della Chiesa verso i giovani non riprenderà con vigore lo strumento della scuola cattolica? Non potrebbe questa quale scuola libera diventare un ambito di collaborazione tra credenti e laici, proprio al fine di superare “antichi pregiudizi” ?
Il credente, ma anche chi non crede, si rende conto che a questo punto, come diceva Joseph Ratzinger nel suo libro Fede, verità, tolleranza, la verità ha la sua massima manifestazione nell’amore. Egli parlava del momento di crisi che attraversa l’umanità e, spiegando in che senso il Cristianesimo è la vera religione, diceva testualmente: “Al livello più profondo il suo contenuto dovrà consistere, oggi – come sempre, in ultima analisi -, nel fatto che l’amore e la ragione coincidono in quanto veri e propri pilastri fondamentali del reale: la ragione vera è l’amore e l’amore è la ragione vera. Nella loro unità essi sono il vero fondamento e il fine di tutto il reale” .Amore e ragione, dunque. E poi in un altro passaggio diceva: “Il concetto biblico di Dio riconosce Dio come il Bene, come il Buono(cfr Mc 10,18). Questo concetto di Dio raggiunge il suo culmine nell’affermazione giovannea: “Dio è Amore”(1 Gv 4,8). Verità e amore sono identici. Questa affermazione – se ne si coglie tutto quanto esso rivendica – è la più alta garanzia della tolleranza; di un rapporto con la verità, la cui unica arma è essa stessa e quindi l’amore” . Così la verità va a coincidere con l’amore.
Della testimonianza da dare con la carità, a cui nel discorso di Verona il Papa ha dedicato un altro dei suoi affondi, menzioneremo solo il monito a non deformare la sua fisionomia “mantenendosi libere da suggestioni ideologiche e da simpatie partitiche, e soprattutto misurando il proprio sguardo sullo sguardo di Cristo”. Mentre, a motivo della dimensione e valenza anche pubblica del cristianesimo, nella parte del discorso relativa alle responsabilità civili e politiche dei cattolici il Papa pone ancora una volta – come nell’enciclica Deus caritas est (cfr nn. 28-29),- la libertà religiosa quale “radice storica” del rapporto tra religione e politica – “attraverso la distinzione e l’autonomia reciproca tra lo Stato e la Chiesa, tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cfr Mt 22,21)”; essa “è un valore universale, particolarmente necessario nel mondo di oggi”. A questa rivendicazione si connette l’affermazione centrale che “la Chiesa non è e non intende essere un agente politico”. Non significa disinteresse per il bene comune, ma consapevolezza che con la sua “dottrina sociale” può aiutare a risvegliare “le energie morali e spirituali che consentano di anteporre le esigenze della giustizia agli interessi personali, o di una categoria sociale, o anche di uno Stato”.
Non dovrebbero esserci più alibi per chierici e fedeli laici: non possono rappresentare la Chiesa ogni volta che prendono – discutibilmente – iniziative proprie dei politici. In specie i laici credenti devono ricordarsi “che operano come cittadini sotto propria responsabilità…illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo”. A scanso di equivoci, papa Benedetto spiega che i laici in modo speciale sono chiamati a “fronteggiare, con pari determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale. La testimonianza aperta e coraggiosa che la Chiesa e i cattolici italiani hanno dato e stanno dando a questo riguardo sono un servizio prezioso all’Italia, utile e stimolante anche per molte altre Nazioni. Questo impegno e questa testimonianza fanno certamente parte di quel grande “sì” che come credenti in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio”.
Il Santo Padre conclude il suo discorso, che si rivela impostato come una grande inclusione, con l’invito all’adorazione che scaturisce proprio dal riconoscimento della risurrezione del Signore. Infatti, invita ad essere uniti a Cristo,per ricevere la forza “della sua parola e del suo corpo, unirci alla sua offerta per noi, adorarlo presente nell’Eucaristia: prima di ogni attività e di ogni nostro programma, infatti, deve esserci l’adorazione, che ci rende davvero liberi e ci dà i criteri per il nostro agire”. Anche quest’ultimo consiglio è un “attacco” al tentativo di ridurre la liturgia, che è atto di culto a Dio cioè di adorazione, ad auto-celebrazione dell’uomo e della comunità.
Se Benedetto XVI verrà ascoltato davvero, da un lato i credenti saranno in grado di “resistere a quella “secolarizzazione interna” che insidia la Chiesa nel nostro tempo, in conseguenza dei processi di secolarizzazione che hanno profondamente segnato la civiltà europea”; dall’altro i laici opereranno analogamente nelle società civili e politiche d’Europa. Intanto sono già vive e all’opera “minoranze creative” composte dagli uni e dagli altri, alleati per il bene dell’uomo.
Nicola Bux è docente di Teologia Orientale alla Facoltà Teologica Pugliese.