Dal fronte afghano i generali chiedono rinforzi ma Obama prende tempo
03 Ottobre 2009
La situazione in Afghanistan è difficile. Gli Stati Uniti e la coalizione dei paesi NATO si trovano a compiere scelte importanti, mentre sui giornali di tutto il mondo continuano ad arrivare notizie allarmanti sull’aumentata capacità di combattimento dei talebani. “Secondo fonti militari e dell’intelligence USA, adesso, mostrando un livello di sofisticazione e organizzazione sorprendente, i vecchi combattenti talebani stanno usando i santuari nel Pakistan per lanciare una vasta campagna di violenza nel nord e nell’ovest dell’Afghanistan… (Sempre le stesse fonti che vogliono rimanere anonime) sostengono che il concilio talebano (l’organo di governo degli insorti), diretto dal Mullah Muhammad Omar e operante nella città pakistana di Quetta, sia direttamente responsabile di questa ondata di violenza in quelle che erano, una volta, tranquille zone del nord e dell’ovest del paese”.
E tutto questo avviene mentre sul tavolo del presidente Obama vi è l’ormai celebre rapporto confidenziale, ma reso pubblico dal Wahington Post, del generale McCrystal redatto il 30 agosto. Le conclusioni del rapporto sono note: il comandante americano ha richiesto l’invio di un numero maggiore di truppe. E altrettanto nota è l’indecisione del presidente e lo scontro all’interno della Casa Bianca. Ora a rinforzo delle tesi del generale, arriva anche la voce di Petraeus, già ideatore della strategia vincente in Iraq e adesso superiore di McCrystal. “L’unico modo di combattere il terrorismo è di portare un approccio multi dimensionale nella strategia attuale … Il contrasto al terrorismo, e parlo di terrorismo, estremismo in senso lato, richiede più dell’utilizzo delle unità di forze speciali. Richiede veramente un approccio globale, un insieme di azioni di governo e di contro insorgenza. Relazioni strette tra diverse agenzie governative e la partnership civile-militare e, di nuovo, risposta a questi problemi è in un approccio omnicomprensivo”.
E questo è il punto dolente. Sulla stampa italiana si è sottolineato molto e solamente l’aspetto quantitativo della situazione. Ma il documento del comandante in Afghanistan sottolinea come si è accennato una serie di difficoltà diverse da quelle militari a cui è necessario offrire una risposta e in tempi brevi. Le cause dell’impasse, che a causato la perdita di iniziativa da parte delle truppe occidentali, è da ricercarsi in due punti: 1) nella sfiducia della popolazione nei confronti del governo di Kabul a causa della sua parzialità, corruzione e incapacità a far funzionare lo stato e 2) nelle modalità di azione degli eserciti occidentali, tutte centrate sull’aspetto militare. Quello che è necessario, sostiene McCrystal, è un diverso atteggiamento, una strategia di contro insorgenza basata sulla conquista della fiducia della popolazione che innanzitutto significa offrire protezione e sicurezza; centrata su di una forte azione per far funzionare le istituzioni e i servizi essenziali e sul coordinamento reale tra gli interventi civili e militari.
Il generale McCrystal richiede l’invio di nuove ruppe, ma non quantifica la necessità nè l’impiego. Secondo questo documento dell’American Enterprise Institute sarebbe necessario aggiungere altri 40-45.000 uomini ai 68.000 soldati che saranno presenti in Afghanistan al 31 dicembre di quest’anno.
E’ ovvio che la richiesta di maggiori truppe, dopo lunghi anni di combattimento, ha destato una selva di obiezioni nell’opinione pubblica americana, e non solo, delusa dagli insuccessi, che ha trovato buoni portavoce tra i democratici fino ad arrivare al disegno di una strategia diversa. La missione in Afghanistan ha infatti cambiato obiettivo, passando da una lotta anti terrorismo, anti Al Qaida, ad un’operazione di state building e di anti insorgenza, guerra che deve essere combattuta con una strategia molto più complessa, impegnativa e lunga. Ma nella concezione della guerra dei democratici, si ricordi Clinton e i bombardamenti sulla Serbia oppure i missili contro le basi di Al Qaida in Sudan, sembra non trovare spazio un coinvolgimento di questa fatta.
“Tra le alternative presentate ad Obama vi è quella sostenuta da Joe Biden, il vice presidente degli USA, che richiede (appunto, ndr) una riduzione del numero di truppe. Piuttosto che cercare di proteggere la popolazione afghana dai talebani, le forze americane dovrebbero concentrarsi sul colpire Al Qaida e le sue cellule prima di tutto in Pakistan, usando le forze speciali, i missili lanciati dai Predator e altri tattiche chirurgiche”. Avrei qualche dubbio sulla precisione delle bombe intelligenti, sulla capacità di discernere dall’alto i civili dai militari, sempre e comunque, come dimostra l’incidente all’inizio di settembre successo ai tedeschi. E’ vero che questi mezzi sono utili, ma non si capisce anche come sia possibile identificare le cellule non stando sul territorio, lasciando spazio ai terroristi di muoversi a loro piacimento tra la popolazione. Bisogna notare inoltre che ogni errore, ogni vittima innocente è un doppio punto per gli insorti: il primo perché così facendo gli eserciti occidentali si alienano la popolazione e in secondo luogo perché rafforzano il fronte degli oppositori alla guerra nell’opinione pubblica occidentale, dato anche l’ottimo uso che i talebani sanno fare dei media internazionali.
La soluzione per i democratici sta sempre nel ricorso alla tecnica, alla forza muscolare nella ricerca forsennata di scorciatoie, questo è quello che sostiene, a ragione, questo pezzo sul New Yok Times.
“Sempre vi è l’illusione di una strada più semplice. Sempre vi è quest’illusione che ha afferrato Donald Rumsfeld e ora afferra molti democratici che si possa combattere una guerra di contro insorgenza con la fanteria leggera, con i missili da crociera, con le forze speciali e i droni senza pilota. Sempre vi è questa illusione, diffusa fino al midollo nella Vecchia guardia del Pentagono, che si possa combattere una forza come quella dei talebani tenendo le tue truppe chiuse per la maggior parte del loro tempo nelle loro basi e facendo uscire fuori i nostri sodati in convogli bene armati per uccidere i cattivoni.
Non vi è semplicemente nessuna prova storica a supporto di questa tesi. L’evidenza storica suggerisce che queste strategie di mezzo creano proprio situazioni nelle quali tu hai abbastanza forze per assumerti le responsabilità del conflitto ma non abbastanza per prevalere. La storia suggerisce quello che il generale Stanley McChrystal ha chiaramente capito: che solo la dottrina di contro insorgenza offre una possibilità di successo. Questa dottrina, come il generale McChrystal ha scritto nel suo notevole rapporto, mette la protezione della popolazione al centro della missione in Afghanistan, e riconosce che gli insorgenti possono essere sconfitti solamente quando le comunità locali e i militari lavorano assieme”.
Lasciare l’Afghanistan al suo destino significa una perdita di credibilità enorme per tutto l’occidente, renderlo disponibile di nuovo come santuario per Al Qaida o ogni altro gruppo criminale, destabilizzare l’intera regione e in primis il Pakistan. Come ha notato Stephen Biddle in in un recente saggio sull’ The American Interest, i Telebani sono un gruppo transazionale che ha la sua forza nell’etnia Pashtun e che cerca di rovesciare il regime pakistano. “ Con una popolazione di 173 milioni di abitanti (cinque volte l’Afghanistan) e un arsenale nucleare di forse 50 testate, il Pakistan in prospettiva è molto più pericoloso stato santuario per Al Qaida”. Questa è anche la posizione di un gruppo di politici ed esperti di relazioni internazionali, di strategia e di Asia centrale che in un lettera aperta promossa da Foreign Policy Initiative richiede a gran voce ad Obama di dirigersi nella direzione del generale continuando così sulla strada intrapresa all’inizio dell’anno quando aveva deciso di inviare in Afghanistan rinforzi per 21.000 uomini. L’appello è stato sottoscritto, tra gli altri, da Danielle Pletka, John Podhoretz, Karl Rove, Jennifer Rubin, Frederick W. Kagan, Robert Kagan, William Kristol, Joshua Muravchik, Sarah Palin, Max Boot, Paul Bremer, David Frum.
Questa posizione, portata avanti dal partito repubblicano ed in modo particolare dai neocon come si capisce dalle firme, è estremamente di buon senso, ma ha il difetto ineliminabile di contare, come tutte le strategie di contro insorgenza, sul buon funzionamento di un governo locale legale e legittimo, elemento che adesso latita.Non stupisce allora la posizione del governo americano di ritardare una sua decisione, come atto di pressione su Karzai affinchè cambi registro, fino a quando i risultati delle elezioni saranno confermati, come ha affermato Hilary Clinton in una intervista. Infatti se Karzai fosse riconfermato, ma il risultato èfortemente contestato, bisogna tener anche conto delle minacce provenienti da una parte dell’opposizione – non dallo sfidante Abdullah – di imbracciare le armi contro il governo centrale. E che ci siano stati brogli, anche gravi fino a inficiare lo stesso significato democratico delle elezioni, lo dimostra lo scontro feroce all’interno alla stessa delegazione ONU che ha portato alle dimissioni di Peter Galbraight, il figlio del celebre economista roosveltiano John Galbraight, estremamente critico nei confronti dell’operato del capo delegazione delle Nazioni Unite accusato di favorire Karzai, anche a costo di coprire le truffe.
Una critica feroce a tutto l’impianto del rapporto deriva da Spencer Ackerman che contesta addirittura la competenza degli esperti e consulenti che hanno aiutato il generale. “Molto, molto, pochi di questi esperti sono principalmente esperti di questioni afghane … Sono esperti di sicurezza, molti di loro eccellenti … Se la controinsorgenza richiede la conoscenza locale come principio centrale, bisogna domandarsi perchè questa prospettiva sia stata sotto rappresentata in questo saggio.” E’ un punto di vista che bisogna tener presente.
Rimane il fatto che prima di scegliere tra due diverse strategie, bisogna tener fermo l’obiettivo che si vuole raggiungere e in che contesto, o teatro, gli americani e la Nato si muovano. A questo proposito, estremamente interessante è l’audizione che si è svolta davanti alla Commissione Esteri del Senato americano il 16 settembre quando hanno preso la parola John Nagl, Stephen Biddle, analista al Council on Foreign Relations, e Rory Stuart, direttore del Carr Center on Human Rights Policy, Harvard University Cambridge, MA. “Le forze della coalizione – ha detto Nagl – hanno invaso l’Afghanistan con l’obiettivo di far cadere il governo dei talebani e sconfiggere Al Qaida. L’accordo di Bonn e i seguenti trattati hanno allargato gli scopi della coalizione al di là di questi obiettivi originari. Dopo sette anni di deviazioni strategiche, gli sforzi della coalizione hanno fallito nel persuadere molti afghani che sarebbe saggio e più sicuro disobbedire ai talebani. (A questo dato, ndr.), a causa della prolungata natura del conflitto, del numero crescente di perdite e di costi finanziari e a causa della mancanza di visibili risultati, si deve aggiungere l’indebolimento del supporto popolare in molti paesi Nato e anche negli Stati Uniti. Ma il fatto che il progresso sia stato ostacolato da strategie confuse e sostenuto da insufficienti risorse è un atto d’accusa contro la condotta della guerra, non contro i suoi obiettivi. Non significa che la campagna in Afghanistan sia senza frutti o che gli interessi dell’America in quella parte del mondo non siano importanti”.
E adamantino è il ragionamento di Frederick e Kimberly Kagan. “Al centro del problema vi è la semplice questione: se gli Stati Uniti stanno combattendo contro un’organizzazione terroristica – Al Qaida – perché noi dobbiamo condurre una campagna di contro insorgenza conto altri due gruppi – la Quetta Shura e il network di Haqqani – dato che nessuno dei due ha l’obiettivo né la capacità di attaccare gli Stati Uniti fuori dall’Afghanistan? Non dovremmo combattere un’organizzazione terroristica con una strategia di contro terrorismo ritagliata su quell’obiettivo e organizzata con armi di precisione di lunga gittata e raids delle forze speciali per eliminare i leader terroristi? Perché dovremmo imbarcarci nelle disfunzionalità politiche e sociali di uno dei paesi più poveri del mondo? Alcuni intorno al presidente Obama sembra che ragionino così… Quest’argomento riposa su due presupposti (falsi). Che Al Qaida sia un gruppo terrorista e che sia separabile da altri gruppi tra cui vive e opera”.
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