Dal Libano e da Gaza venti di guerra su Israele
04 Marzo 2008
Se non tutto, molto degli avvenimenti di questi ultimi giorni
a Gaza, ricorda il luglio del 2006. Allora, la sincronia perfetta tra il
rapimento del caporale Shalit a Gaza e il rapimento dei due soldati, Ehud
Goldwasser e Eldad Regev, alla frontiera col Libano. Oggi, l’escalation
provocatoria dei missili da Gaza su Sderot e Ashkelon e contemporaneamente un tale
deterioramento della situazione interna libanese che Arabia Saudita e Kuwait
hanno ordinato – più che invitato – ai propri concittadini di lasciare immediatamente
il paese dei cedri. Una mossa gravissima, perché è proprio su Beirut che si
appoggia tutto il mondo economico e finanziario dei due paesi. Una mossa che fa
eco alla clamorosa decisione degli Usa di dislocare la Us Cole nelle acque di
Beirut, da cui la flotta militare americana era assente addirittura dal 1984.
Sullo sfondo, nel 2006 come oggi, le sanzioni dell’Onu
contro l’Iran e l’evidenza di un suo inarrestato cammino verso l’atomica (a
scorno di una Cia, smentita sul punto ormai anche dalla Russia di Putin). In
più, a incrementare ulteriormente il vigore di questi venti di guerra, una
nuova dinamica destabilizzante: lo scatenamento della guerra interna al gruppo
dirigente iraniano. Una faida ormai sanguinosa, come dimostra l’uccisione a Damasco,
per mano amica, di Mughniyeh, il generale che dirigeva tutte le forze
internazionali dei Pasdaran.
In meno, rispetto al 2006, le solite Onu e Unione Europea
che continuano a prendere le distanze da Israele, sostenendo che la risposta di
Tshaal “è sproporzionata”, e che questa volta rischiano incoscientemente la
pelle del corpo di spedizione Unifil, dislocato in un sud del Libano in cui ha lasciato
che Hezbollah ricollocasse in 2 anni ben 30.000 missili. Nel 2006, almeno,
l’Europa aveva tentato un protagonismo nella crisi, mentre oggi riprende il suo
solito temporeggiare tra le parole, non dopo avere fatto una pessima figura col
fallimento ripetuto dei viaggi di Kouchner e D’Alema a Beirut per risolvere la
crisi istituzionale libanese.
Mentre i media guardano a Gaza e fanno finta di non sapere
che i morti civili palestinesi sono il prodotto della ferocia dell’unico
movimento armato del mondo – quello palestinese – che si fa scudo di donne e
bambini, è in Libano la miccia accesa di un probabile nuovo conflitto che ormai
si delinea con inquietante evidenza.
La Siria, ha profittato della tregua decisa dall’Onu sul
tribunale internazionale sull’uccisione di Rafik Hariri (il procuratore
Brammertz è praticamente inerte da due anni), per rafforzare la sua manomorta
su Beirut e farvi incancrenire la crisi presidenziale. Il grande vantaggio di
Damasco e di Hezbollah sta tutto nel fatto che la forza militare di
quest’ultimo è tale che nessun antagonista – né i cristiani, né i drusi, né i
sunniti – può pensare di sfidarla con le proprie milizie. Ma, appunto la forza
militare di Hezbollah – oggi perfettamente ricostituita – costituisce anche una
grande tentazione, più che per Damasco e per lo stesso Nasrallah, per i
dirigenti iraniani e in particolare per Ahmadinejad. Il presidente iraniano si
prepara infatti a una campagna elettorale iraniana in cui i suoi veri avversari
sono gli “oltranzisti educati” (alla Larinjani e Qalibaf), più che i deboli
“falsi riformisti” (alla Rafsanjani, riformista solo per i media occidentali
che non vedono le sue mani letteralmente macchiate di sangue). La tentazione di
giocare la carta della tensione bellica sul Libano e Israele è dunque grande
per Ahmadinejad, e non solo per lui.
Nei giorni scorsi la Guida della Rivoluzione, l’ayatollah
Khamenei, l’ha pubblicamente e personalmente ringraziato “per aver saputo fare
dell’Iran la più grande potenza dell’area e per avere sviluppato il programma
nucleare senza cedere alle pressioni dei nemici interni”; una chiara scelta di
campo (che smentisce le voci dei media occidentali che volevano Ahmadinejad
isolato), ma anche un evidente appoggio ai progetti di escalation della
tensione che Ahmadinejad sta sviluppando con tutta evidenza.
Venti di guerra sul Libano dunque. Tutti provenienti da Est,
dai monti Alborz che sovrastano Teheran, in cui si radicò mille anni fa la
setta sciita degli Hashashin, fautori ante litteram del terrorismo suicida.