Dal lodo Alfano al processo breve, ecco le proposte per riformare la giustizia
13 Aprile 2011
Obiettivo del presente dossier, avente ad oggetto il tema de "la riforma della giustizia", è raccogliere, senza alcuna pretesa esaustiva, alcune delle più significative novità legislative in materia avanzate nel corso della presente legislatura. La riforma della giustizia può essere definita come una “riforma epocale” considerato che mai prima d’ora si è messo mano in maniera così drastica ai princìpi del sistema giudiziario così come definito dai padri costituenti.
La riforma tocca temi cruciali quali: la separazione delle carriere, l’ obbligatorietà dell’azione penale, la responsabilità civile dei giudici. Diverse poi sono le questioni connesse che hanno animato fortemente il dibattito nei mesi scorsi: i temi trattati spaziano infatti dalla disciplina delle intercettazioni telefoniche, alla sospensione del processo penale per le più alte cariche dello Stato e alla ragionevole durata dei processi.
Il dibattito sulla riforma della giustizia non si è fermato alla discussione sui provvedimenti o sulle proposte, ma appare strettamente legato alla questione del rapporto tra politica e giustizia, agli equilibri tra poteri dello Stato.
La legge n. 124 del 23 luglio 2008 recante “Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato” e nota come “lodo Alfano”, dal nome del Ministro della Giustizia che l’ha proposta, Angelino Alfano, prevedeva la sospensione dei processi penali, per tutta la durata del mandato, nei confronti delle più alte cariche dello Stato: il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri, i Presidenti di Camera e Senato. Era prevista inoltre la sospensione di tutti i procedimenti giudiziari, anche quelli relativi a fatti commessi prima dell’assunzione dell’alta carica e già in corso al momento di promulgazione della legge. Lo scudo, però, non si applicava agli eventuali reati commessi nell’esercizio delle funzioni dal Capo dello Stato e dal Premier. Inoltre, la sospensione dei processi non era reiterabile (una stessa persona, quindi, non poteva godere di una seconda sospensione se, cessata una carica, ne assumeva un’altra), con una sola eccezione riconosciuta dalla legge: l’ipotesi di una successiva nomina del capo del governo alla stessa carica nella medesima legislatura. Infine, il “lodo”, pur sospendendo il decorrere del tempo ai fini della prescrizione, non precludeva al giudice l’acquisizione di prove non rinviabili, e prevedeva la possibilità per chi ricopriva l’alta carica di rinunciare «in ogni momento» alla sospensione e per le altre parti coinvolte nel processo di proseguire l’azione in sede civile, «con termini ridotti alla metà».
In seguito, il “lodo” è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale, che con la sentenza n. 262 del 19 ottobre 2009 ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale per violazione degli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 138 (obbligo di far ricorso a una legge costituzionale e non ordinaria) della Costituzione.
In materia di intercettazioni il testo relativo al disegno di legge recante “Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche” introduce una serie di importanti novità: – le intercettazioni restano possibili, come previsto dall’articolo 266 del codice penale, per i delitti non colposi per i quali è prescritta la pena dell’ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a 5 anni, per i delitti contro la pubblica amministrazione e per quelli riguardanti la droga, il contrabbando, le armi e gli esplosivi, l’ingiuria, la minaccia, l’usura, l’insider trading, l’aggiotaggio, la molestia anche telefonica e la diffusione di materiale pedo-pornografico. Tuttavia, le intercettazioni potranno essere autorizzate (da un tribunale collegiale composto da tre giudici) solo in presenza di «evidenti indizi di colpevolezza»; – le intercettazioni potranno durare al massimo 30 giorni, anche non continuativi. La durata potrà essere prorogata di altri 15 giorni, anche non continuativi, su richiesta motivata del pubblico ministero. Potrà essere autorizzata un’ulteriore proroga delle operazioni fino a 15 giorni, anche non continuativi, qualora siano emersi nuovi elementi; – quando le indagini riguardano mafia, terrorismo e altri reati gravissimi quali riduzione in schiavitù, tratta di persone, sequestro di persona per rapina o estorsione, contrabbando o traffico di stupefacenti, l’autorizzazione a disporre le intercettazioni potrà essere concessa in presenza di «sufficienti indizi di colpa». Le operazioni non potranno superare i 40 giorni, ma potranno essere prorogate dal tribunale con decreto motivato per periodi successivi di 20 giorni, qualora permangano gli stessi presupposti, entro i termini di durata massima delle indagini preliminari; – le intercettazioni non potranno essere utilizzate in procedimenti diversi da quello nel quale sono state disposte, salvo i casi di mafia e terrorismo; – chi pubblicherà il contenuto di intercettazioni per le quali è stata ordinata la distruzione sarà punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Stessa pena anche per chi pubblicherà – anche per riassunto o in parte – atti e contenuti relativi a conversazioni o flussi di comunicazione riguardanti fatti e circostanze o persone estranee alle indagini di cui sia stata disposta l’espunzione; – il disegno di legge vieta inoltre la pubblicazione di nomi o immagini di magistrati relativamente ai procedimenti e processi penali loro affidati, a meno che l’immagine del magistrato non sia scindibile dal diritto di cronaca oppure siano state disposte le riprese televisive per il dibattimento; – resta vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti da segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare, ma di tali atti è sempre consentita la pubblicazione per riassunto. È vietata invece la pubblicazione delle intercettazioni anche se non più coperte da segreto, fino alla fine delle indagini preliminari. È consentita la pubblicazione delle ordinanze emesse in materia di misure cautelari, dopo che l’indagato o il suo difensore ne sono venuti a conoscenza; – gli editori dei giornali che violeranno il divieto di pubblicazione saranno puniti con multe fino a 465mila euro; i giornalisti, invece, rischieranno l’arresto fino a 30 giorni o l’ammenda fino a 5mila euro (fino a 10mila in caso di intercettazioni); – il pubblico ufficiale o il magistrato responsabile della fuga di notizie sulle intercettazioni sarà punito con l’ammenda da 500 a 1.032 euro; – il magistrato che rilascerà «pubblicamente» dichiarazioni sul procedimento a lui affidato avrà l’obbligo di astenersi e dovrà essere sostituito, se iscritto nel registro degli indagati per rivelazione del segreto d’ufficio.
Il progetto di revisione costituzionale affronta inoltre il tema della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, già trattato al tempo della Bicamerale presieduta da D’Alema tra il 1996 e il 1998. Esso prevede anzitutto la riforma del tanto criticato CSM, che verrà appunto diviso in due parti. Si stabilisce, in sostanza, la creazione di due concorsi separati per l’accesso alle professioni di giudice e pubblico ministero: all’inizio della loro carriera i magistrati dovranno decidere quale delle due strade percorrere. In particolare, per quanto concerne la composizione del CSM “requirente”, la riforma prevede che esso si occuperà della nuova categoria (separata) dei pubblici ministeri: sarà composto per una metà da membri “laici” nominati dal Parlamento e per l’altra da giudici togati eletti nelle categorie di riferimento. Si prevede inoltre che la vicepresidenza spetti ad uno dei membri laici, e che sia il Capo dello Stato a presiedere. Ancora, si stabilisce la regola di avere un membro di diritto per parte, ovvero il primo Presidente di Cassazione per il CSM giudicante e il Pg della suprema Corte nel CSM requirente. La durata in carica sarà di quattro anni. Per quanto riguarda il sistema di voto, si presume che il voto del vicepresidente varrà doppio in seno al plenum. Con ciò, a detta del Presidente del Consiglio, si costruirebbe una riforma che realizza pienamente i princìpi del giusto processo, affacciatisi nel 1999 con la riforma dell’articolo 111 della Costituzione e che, di fatto, sono rimasti inapplicati a fronte della mancata separazione delle carriere di giudice e pubblico ministero.
I pubblici ministeri, inoltre, avranno sempre l’obbligo di esercitare l’azione penale ma – se passerà l’ipotesi di modifica all’art.112 della Costituzione – potranno farlo “secondo modalità stabilite dalla legge”. Si affideranno dunque a una legge ordinaria le priorità dei reati da perseguire. Torna in Costituzione l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione introdotto a suo tempo dalla legge Pecorella poi bocciata dalla Corte Costituzionale: all’art 111 sarà aggiunto infatti un comma secondo cui “contro la sentenza di condanna è sempre ammesso appello davanti a un giudice di secondo grado” mentre “le sentenze di assoluzione sono appellabili nei casi previsti dalla legge”.
Quanto al c.d. "processo breve" recante “Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, il disegno di legge è composto da tre articoli. Nell’articolo 1 sono stabilite le modalità per la durata «ragionevole» dei processi: «non sono considerati irragionevoli i periodi che non eccedono la durata di due anni per il primo grado, di due anni per il grado di appello e di ulteriori due anni per il giudizio di legittimità, nonché di un altro anno in ogni caso di giudizio di rinvio». Il giudice può aumentare fino alla metà i suddetti termini. Se vengono superati i limiti di ragionevole durata, il processo penale è estinto (articolo 2), «nei processi per i quali la pena edittale […] è inferiore nel massimo ai dieci anni di reclusione». Tale disposizione non si applica, però, nei processi in cui «l’imputato ha già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, o è stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale» e nei processi relativi a uno dei seguenti delitti, consumati o tentati: associazione per delinquere, incendio, pornografia minorile, sequestro di persona, atti persecutori, furto aggravato, furto in abitazione e furto con strappo, circonvenzione di persone incapaci, delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, e dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro e delle norme in materia di circolazione stradale, reati previsti nel testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286), traffico illecito di rifiuti. La disposizione non si applica, inoltre, quando l’imputato dichiara di non volersi avvalere dell’estinzione del processo. L’articolo 3 contiene disposizioni relative all’entrata in vigore della legge e all’applicazione delle norme sull’estinzione processuale. Il disegno di legge il 20 gennaio 2010 è stato approvato dal Senato con alcune modifiche rispetto al testo del proponente. L’obiettivo dichiarato del provvedimento è quello di rendere più certi presupposti, procedura e quantificazione dell’equo indennizzo, nel quadro di un generale contenimento degli effetti, anche economici, derivanti dalla durata non ragionevole dei processi. L’ intento è quello di razionalizzare le procedure di equo indennizzo previste dalla legge Pinto, in modo da contenere i tempi per la loro decisione, in particolare riducendo la discrezionalità del giudice nella valutazione della ragionevole durata. Si è così introdotto un criterio oggettivo, secondo il quale la durata ragionevole del processo è fissata in termini prestabiliti per ogni grado di giudizio. Ulteriore intervento riguarda in particolare il processo penale laddove, in considerazione della particolare delicatezza dei diritti fondamentali investiti, è stabilito che la ragionevole durata del procedimento debba essere contenuta in termini perentori, oltrepassati i quali è prevista l’estinzione del processo. Tale beneficio è stato però escluso in presenza di alcune condizioni soggettive ed oggettive: infatti il processo non si estingue se l’imputato sia stato dichiarato delinquente professionale o abituale, ovvero nei casi di recidiva. Il beneficio dell’estinzione del processo è altresì escluso per i delitti più gravi, puniti cioè con pena non inferiore nel massimo a dieci anni, nonché per una serie di delitti specificamente elencati, e individuati o in base alla loro abituale complessità probatoria, ovvero sotto il profilo dell’allarme sociale. Il disegno di legge ha suscitato un acceso dibattito tra le diverse fazioni politiche, nonché in seno alla magistratura, ma ha evidenziato la necessità di intervenire su questa materia e circa il fatto che la ragionevole durata del processo è un principio costituzionale non sacrificabile.
Tratto da:
– V. Antonelli, U. Ronga, M. Vergottini e E. Vite, "La riforma della giustizia", Istituto Vittorio Bachelet Osservatorio sulle riforme, Dossier 1/2010