Dal merito al calcolo del danno, la sentenza su Mondadori è uno sbaglio

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Dal merito al calcolo del danno, la sentenza su Mondadori è uno sbaglio

06 Ottobre 2009

La sentenza a carico di Fininvest per un danno di 750 milioni inflitto a Cir, estesa dal giudice monocratico del tribunale civile di Milano Raimondo Mesiano, come era prevedibile ha scatenato lunedì una speculazione in Borsa a favore di Cir. Una buona mano d’aiuto per chi già sabato ha portato avanti operazioni capaci di ottenere consistenti guadagni di capitale sul titolo. Tali opportunità si sarebbero probabilmente ridotte se la sentenza fosse stata resa nota di lunedì ad un’ora opportuna.

Se Cir incasserà questi 750 milioni potrà rimpolpare il gruppo Repubblica-Espresso che nel bilancio 2008 ha solo 7 milioni di profitti nonostante conti su "corazzate" come il quotidiano Repubblica e il settimanale l’Espresso (si noti che la divisione periodici è in perdita). Il  gruppo Rizzoli Rcs ha un utile di  20 milioni e il gruppo Mondatori ne ha uno  di 95 milioni.

Il magistrato di Milano non  ha potuto sostenere che la sentenza della Corte di Appello che riconobbe valido il lodo Mondadori è stata frutto di corruzione dato che solo un giudice, Vittorio Metta, sarebbe stato corrotto. Il magistrato di Milano pertanto argomenta che questa corruzione ha tolto a Cir “una chance di vittoria”. E  stabilisce che tale chance vale l’80 per cento della “perdita” subita da Cir, valutata in ben 937 milioni. Non so come sia stata calcolata tale percentuale. A mio parere, la riduzione che va fatta sta fra il 50 e il 75 per cento. Infatti se entrambi gli altri membri del collegio fossero stati contrari, il solo voto di Metta a favore non sarebbe bastato. Ciò comporta che vi era almeno un altro membro del collegio giudicante a favore di Fininvest oltre a Metta. Dunque, senza la corruzione presunta di Metta vi sarebbero state almeno 50 probabilità su 100 di un voto contrario a Cir da parte di uno dei due membri del collegio. Ma esse potevano anche essere il 100 per cento in quanto, in assenza di informazioni, si può supporre che tutti e due fossero a favore.

D’altra parte, non è dato di sapere se Metta sarebbe stato a favore o contrario, senza la presunta corruzione – che do per ammessa, esistendo una sentenza al riguardo. Si può assumere che egli fosse a favore di Cir o contrario. Nel primo caso (a favore di Fininvest), si sarebbe potuta avere o l’ipotesi di tutti e tre i membri del collegio giudicante a  favore di Fininvest o quella di due membri a favore. Se egli fosse stato contrario, si sarebbero potute verificare o l’ipotesi di due membri a favore di Fininvest o quella di due contrari. In sostanza la probabilità di un voto contrario a Cir sarebbe stata il 75 per cento e quella di un voto a favore il 25 per cento. Ipotizzando che i corruttori sapessero che Metta era contrario, la situazione sarebbe cambiata. In una ipotesi ci sarebbero stati due membri a favore di Fininvest e due contrari, nell’altra due contrari, dunque ci sarebbe stato il 50 per cento di chance di voto favorevole a Cir. Le due ipotesi del 50 e del 25 per cento a favore di Cir sono state eliminate dalla corruzione  e pertanto la perdita di chance di Cir è il 50 per cento o il 25 per cento e non l’80 per cento.

Sono figlio di un magistrato e nipote di due magistrati e conoscendo la categoria faccio molta fatica a credere alla tesi della corruzione che induce a fare una sentenza sbagliata. Posso credere di più alla tesi per cui una parte dei magistrati ora sono politicizzati perché ne siamo stati spettatori  man mano che emergevano le nuove leve politicizzate.

Entro nel merito e dimostro perché il calcolo del danno di 937 milioni è, a mio parere, sbagliato. Innanzitutto se fosse vero che il valore attuale è di 937 milioni, non dovremmo ridurlo del 20 per cento, ma del 50 per cento o di tre quarti: quindi si scenderebbe a 468 milioni o a 234 milioni. Inoltre i 937 milioni sono il valore capitalizzato per 19 anni al 6 per cento di 313 milioni del 1991. Essi, stando alla sentenza, sono composti per 284 milioni dal valore presunto del danno derivante dalla mancata acquisizione di Mondadori da parte di Cir, più 8 milioni di spese legali e circa 21 milioni di danno per perdita di immagine di Cir. I 284 mila euro di allora (in realtà espressi in lire) per il giudice di Milano, diventano attualmente 852 milioni di euro, con il tasso di capitalizzazione del 6 per cento annuo. Ma questa società allora era in rosso.

Come si fa a sostenere che essa valesse 284 milioni? Esiste una perizia al riguardo che la abbia determinata? D’altra parte il calcolo del valore attuale effettuato nella sentenza dà per implicita una capitalizzazione del 6 per cento in 19 anni. E per valutarne la attendibilità bisogna fare tre ipotesi: che Mondadori rimanesse nel gruppo Cir o passasse a un altro gruppo controllato dall’ingegner Carlo De Benedetti, dominus di Cir o fosse venduta a terzi. Nelle prime due ipotesi, è scarsamente verosimile che i manager di Cir riuscissero a ottenere per il proprio gruppo un valore di 852  milioni da una società che, partita in rosso, doveva essere rilanciata ed aveva bisogno quindi di capitale fresco da ottenere con finanziamenti in borsa e con altri mezzi. La Finivest, attualmente detiene solo la metà di Mondadori. Se Cir avesse operato con la tecnica di Mondadori, ora avrebbe il 50 per cento di essa. Per supporre che la perdita di Cir valga adesso 852 milioni, bisognerebbe allora assumere che il valore complessivo di Mondadori sia ora di 1 miliardo e 704 milioni. Un valore che corrisponde  a una crescita annua del valore di 284 milioni del 10 per cento per 19 anni. Tolto il tasso di inflazione del 2,5 per cento annuo, che risulta da calcoli ufficiali del valore di una lira del 1991 nel 2008 (nel 2009 il tasso di inflazione è zero) rimane un rendimento del 7,5. Come si fa a credere a simile percentuale di utile annuo dopo le imposte?

D’altra parte, se si suppone che la Cir riuscisse allora a vendere Mondadori, come si fa a supporre che ne avrebbe ricavato l’equivalente di 284 mila euro? Presumibilmente solo un gruppo estero avrebbe avuto l’interesse a comprare questa società allora in difficoltà. Chi avrebbe voluto sborsare questa cifra? Ma supponiamo che Cir avesse trovato tale benefattore. A questo punto,  il giudice Raimondo Mesiano suppone che la Cir avrebbe ricavato da tale somma il 6 per cento annuo, netto di imposte di cui il 2,5 a titolo di tasso di inflazione e il 3,5 per cento di rendimento netto del capitale. Andando avanti, ci imbattiamo anche nelle spese legali, calcolate nel 1991 in 8 milioni. Anche per esse la perdita ipotizzata  cresce al ritmo del 6 per cento annuo netto di imposte. Inoltre a ciò la sentenza  aggiunge la perdita di immagine di Cir per 21 miliardi circa, anche essa capitalizzata al 6 per cento. Ciò non è accettabile. Una sconfitta, in una causa civile, non fa perdere a una impresa l’immagine che essa ha sul mercato. Essa dipende da fattori economici e finanziari. Ed è dubbio che se la Cir di De Benedetti  avesse avuto da gestire anche il gruppo Mondatori la si sarebbe stimata di più, date le complicazioni che ciò avrebbe arrecato.

D’altra parte se Cir avesse venduto Mondadori subito dopo averla ottenuta dalla Corte di Appello, la sua immagine non se ne sarebbe avvantaggiata perché si sarebbe arguito che Cir non se la sentiva di risanare il gruppo, prima di cederlo. Dunque questa somma di 20 milioni va depennata. E la cifra massima che si potrebbe attribuire alla Cir sarebbe la metà o un quarto di 852 milioni, vale a dire 425 milioni o 213 milioni. Ma nella ipotesi che la Mondadori non fosse stata venduta, non valgono le stime del tasso di interesse e del tasso di inflazione; per un imprenditore di media qualità  bisogna considerare la dinamica del settore. Il calcolo di rendimento dei gruppi editoriali della carta stampata che fanno i ricavi con le vendite e la pubblicità  non seguono la legge degli interessi composti  di mercato ma una legge di crescita (o decrescita) media che, nell’ipotesi più ottimistica, è legata alla dinamica del Pil, che in Italia è molto inferiore al 3,5 per cento annuo in termini reali. Ciò astraendo dalle capacità imprenditoriali e dalle sinergie dei gruppi considerati, che possono generare una crescita superiore alla media o inferiore ad essa. Introducendo tale fattore soggettivo resta solo il confronto fra Mondadori, collocata nel gruppo Fininvest o collocata in Espresso Repubblica. E considerando il secondo si vede il rosso del settore periodici: non una opportunità ma problemi.