Dal piccolo mondo antico di Manduria Lacaita raccontava il mondo moderno

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Dal piccolo mondo antico di Manduria Lacaita raccontava il mondo moderno

05 Luglio 2009

Non so quante volte ho percorso la strada che da Bari conduce a Manduria per raggiungere Piero Lacaita, il mio primo editore. Attraversavo Taranto, tra scorci paesaggistici nei quali l’incanto dei due mari si confondeva con parchi abortiti e quartieri dormitorio. E proseguivo per paesi che, in forme e modi diversi, continuavano a proporre alla vista, imperterriti, la contaminazione tra il bello e lo sfregio.

Questa sensazione si prolungava fino alla soglia della casa di Piero dove, come per incanto, tutto si ricomponeva in una ritrovata armonia: bei mobili, per lo più Cinquecento toscano; pezzi indimenticabili di ceramica pugliese e una grande cucina con camino annesso. La casa editrice era il suo studio. Essenziale: una libreria, una piccola scrivania corredata di telefono e fax, un tavolo sul quale s’incartavano i pacchi dei libri.

In quella casa si respirava l’aria del piccolo mondo antico nel quale il libro – l’oggetto magico in cui si trasfondevano l’amore, l’eleganza interiore e il gusto di Piero – stabiliva un segreto contatto tra interno ed esterno. Piero me lo ha ripetuto tante volte: “l’editoria non mi ha fatto ricco. Ma questo mestiere mi ha consentito di restare a Manduria e, nonostante ciò, di comunicare con il mondo”. Un programma di vita, dunque: non staccarsi dalla sua terra con comodità annesse e, al contempo, evaderla; dilatare i confini del mondo antico senza smarrirne l’incontaminata armonia.

All’inizio fu una tipografia, arte di famiglia. E il gusto per la stampa, l’accuratezza del carattere, la ricerca paziente della giustezza a Piero sono rimasti nel sangue. Anche dopo che il computer ha definitivamente spedito in soffitta i piombi e il mistero della loro composizione.

A questo mestiere originario, che a lungo portò avanti su un binario parallelo conquistando il margine economico per le prime edizioni, Piero aggiunse una autentica vocazione culturale e una non comune passione civile. E dal precipitare di questi elementi nacque la Piero Lacaita editore.

Riapriamo il catalogo storico. Vi si trovano, agli inizi, i libri e le riviste di Gabriele Pepe, l’Italia Civile di Norberto Bobbio, il Salvemini di Lelio Basso. In aggiunta, testi di obbedienza meridionalista che attestano un’appartenenza e insieme una voglia di riscatto, a volte velleitaria ma sempre autentica.
Piero fu un laico impregnato di socialismo umanitario alla ricerca di una riforma che potesse concedere più rigore alla vita municipale, al vivere civile, al sentimento religioso. La sua fu più una vocazione mentale che una fede politica e forse per questo si può dire oggi, alla fine del percorso, che l’impronta originaria non è venuta meno.

Com’è normale che sia, una casa editrice che attraversa settant’anni della storia d’Italia s’impregna di contraddizioni e comunica con le mode, spesso effimere. Anche Lacaita editore rispettò questa regola. Basti considerare a tal proposito le fughe verso “il sociologhese” degli anni Settanta. A una lettura più profonda del percorso che il catalogo propone si rivela, però, oltre il contingente, una sorta di “eterno ritorno” ricercato, ad esempio, attraverso il rapporto con Giovanni Spadolini o la caparbia adozione della collana di scritti meridionalistici dell’ANIMI.

E allora, in quest’orizzonte più ampio, le concessioni al conformismo del tempo e, a volte, persino al politicamente corretto, appaiono quello che in fondo sono state: un prezzo, in fondo sano, pagato alla curiosità, alla voglia di capire cosa ci fosse nel mondo.

Ne sono stato, in qualche modo, testimone diretto. Ho un ricordo nitido delle telefonate con le quali, fin dopo l’inizio del mio mandato parlamentare, s’informava della situazione politica, mi chiedeva di Berlusconi, mi esortava a non smarrire il filo che può condurre a un’Italia più moderna, più rispettosa e, si potrebbe dire al netto della spocchia, persino più civile.

Negli ultimi anni, in particolare dopo la morte di mio padre, quei colloqui si sono prima diradati e poi interrotti. La conversazione si affievoliva e a un certo punto ho preferito rinviare ad un incontro a Manduria la opportunità di ritrovare Piero e il suo mondo antico. Il tempo non me l’ha concesso, ed era prevedibile. In fondo è stata una vigliaccheria. Nella vita si perdono tante cose care ma ciò che è più difficile è accettare che l’armonia di un bel ricordo sia corrotta dal trascorrere del tempo. Il cuore non ce la fa. Poi resta un’assenza e un senso di colpa.