D’Alema vuol riaprire le Frattocchie per sconfiggere il Cav. (sai che novità)

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D’Alema vuol riaprire le Frattocchie per sconfiggere il Cav. (sai che novità)

30 Maggio 2009

Nel suo ultimo libro Massimo D’Alema veste i panni di Cristoforo Colombo e traccia la mappa del “nuovo mondo”. Centinaia di chilometri sopra gli scandali e le beghe della politica di tutti i giorni, il “baffo nazionale” vola alto e descrive lo scenario dell’Italia, dell’Europa, dell’intera comunità internazionale ai tempi della crisi. Particolarmente illuminante, per indovinare le prospettive del Partito Democratico e il nuovo “paradigma interpretativo” della Sinistra, è l’esame della realtà italiana, segnato da diversi “dejà vu” e un clamoroso colpo di scena.

Alla fine, dopo reticenze durate anni, il Lider Massimo riconosce che da quindici anni a questa parte il Centrodestra è riuscito a stabilire una sintonia speciale con la società civile italiana. Anche nel momento della sconfitta elettorale, la parte politica di Berlusconi è rimasta maggioritaria nel Paese. E pure, sul piano dei numeri, non è riuscita a tradurre la propria superiorità altro che in una risicata maggioranza dei consensi elettorali: segno che in Italia permane una diffusa, irriducibile sfiducia nei confronti del Cavaliere e dei suoi metodi.

Per D’Alema, ovviamente, la supremazia del Centrodestra è sciagura suprema, trionfo del malgoverno affidato al populismo di Berlusconi e a una classe politica improvvisata e pasticciona. La sua ricetta per passare il guado ha un che di sorprendente e rivelatorio. Contro l’armata raccogliticcia del Popolo delle Libertà, D’Alema propone di schierare una “nomenklatura “ di politici di professione, selezionati, allevati e messi alla prova entro un rigido apparato di partito. “Educazione” e “preparazione” sono le due parole d’ordine. Basta politici dell’ultima ora, raccattati per strada e addestrati con guide tascabili e corsi accelerati: per voltare pagina servono soggetti capaci e consapevoli, avveduti ed istruiti. E forse anche “inquadrati”? Qualche sospetto viene…

L’esigenza di una classe politica più matura e pensante è fuori discussione. Ma che la sua selezione debba essere affidata al “partito”, rigidamente strutturato e capillarmente diffuso sul territorio, fa un po’ specie. Non si diceva fino all’altro giorno che il tempo dei covi e delle consorterie fosse finito? Che i grigi, imbalsamati funzionari di partito fossero definitivamente passati di moda? Sembrava iniziata l’era dell’homo novus, l’illustre sconosciuto che esce dai ranghi della società civile e trascina in politica l’esperienza della sua vita, il patrimonio di conoscenze maturate sul campo.

A quanto pare, però, la svolta è reversibile: l’analisi di D’Alema suona quasi come un appello alla “controrivoluzione”. Se non che, invertire la rotta e tornare alle scuole-quadri dei partiti potrebbe creare più incomodi di quanti non ne risolva. Come è già avvenuto in passato, si rischierebbe di confezionare, pronta all’uso, una batteria di polli da allevamento. L’Italia, si sa, è terra di revival: non c’è problema nuovo che non ispiri la tentazione di rispolverare soluzioni vecchie. Ma il caso in questione è particolarmente insidioso.

Buttandola in metafora, si potrebbe citare “l’apologo di Rocky e del Russo”. Avete presente il film? In un clima di sbiadita Guerra Fredda, il campione del mondo libero, Rocky Balboa, viene sfidato dal colosso del pugilato sovietico, il truce Ivan Drago. L’incontro è fissato a Mosca, nella tana del lupo, nell’ambiente apparentemente più congeniale all’idolo d’oltrecortina. Rocky si allena da solo, con un metodo tutto suo, usando mezzi di fortuna, stillando sudore in una dacia fuori dal mondo. Spacca legna e trascina l’aratro sulla neve, smuove massi e solleva tronchi d’albero. Lo sfidante, invece, si prepara in un laboratorio ipertecnologico, a colpi di tabelle, esercizi rigorosamente controllati, stimoli elettrici e siringhe di siero “miracoloso”. E’ lo scontro tra due mondi, e insieme tra due filosofie e due approcci antitetici al mestiere.

L’epilogo è noto a tutti gli appassionati: alla fine il campione con l’anima, il pugile venuto dalla strada, surclassa l’avversario costruito in laboratorio per vincere ogni come “esempio morale”. E ha anche una parola per la ricetta di D’Alema…

Siamo sicuri che una nuova generazione di politici in provetta, forgiati negli “atri muscosi” di sezioni e segreterie di partito, possa capovolgere le sorti dell’Italia? In politica come altrove conta avere una cultura, e molto più avere una consapevolezza e una “visione”, ma il carattere distintivo, il discrimine tra il mestierante e il politico di razza, sta nelle attitudini e nell’esperienza personale, nella ricchezza del proprio vissuto. E’ questa ricchezza a infondere il “carisma”, il dono speciale di saper stare tra la gente.

Distinguere, e prendere parte, tra politici di professione e politici per passione (o per diletto) è fuorviante. Per fare politica professionisti bisogna essere comunque, ma la vera professionalità si conquista sul campo, in mezzo alla gente, nel confronto con la realtà. Solo su questo piano la teoria, la preparazione, la progettualità assumono un senso. Per anni si è rimproverata alla politica la sua invadenza, l’interferenza nell’educazione dei giovani, nel mondo del lavoro, nell’economia. E adesso, alle prime avvisaglie di un cambiamento, esplode il rimpianto per i “bei tempi antichi”.

Certo non tutto il passato va buttato alle ortiche… I partiti sono indispensabili come canali di accesso disciplinato alla politica, devono selezionare, istruire perfino, ma non “educare”: preparare alle responsabilità della politica senza inculcare acriticamente contenuti. Più che dare e insegnare, la politica dovrebbe incominciare a prendere, ad accogliere. La società civile ha già in sé le risorse, le competenze e le personalità che il governo della “cosa pubblica” richiede, il problema, semmai, è farle affiorare in superficie applicando con più rigore il criterio meritocratico. Dando, cioè, più credito allo spessore intellettuale che al conto in banca, più importanza all’entusiasmo e alla capacità organizzativa che al peso elettorale o all’esposizione mediatica.

Sarebbe un azzardo e una scommessa, ma anche l’esempio migliore di spirito imprenditoriale applicato alla politica.